E’ passata da poco la mezzanotte tra il 27 e il 28 luglio del 1993. All’improvviso due grandi boati rompono la tranquillità di una sera d’estate come tante, a Roma. C’è ancora chi passeggia per la città. Sono due autobombe. Esplodono a pochi minuti di distanza. Una ridosso della Basilica di San Giovanni in Laterano, l’altra sotto l’antico portico romanico di San Giorgio in Velabro, tra il Campidoglio e il Palatino. 23 i feriti e tanti danni. Si sfiora la strage. È la mafia, Cosa Nostra, che cerca di destabilizzare il paese. La stessa sera a Milano, presso la Galleria d’Arte Moderna, un’altra autobomba uccide 5 persone. La matrice è la stessa. Gli attentati furono il compimento della strategia eversiva con cui Cosa nostra reagì alle condanne del maxi processo di Palermo: l’omicidio di Falcone e Borsellino, il tentativo di uccidere Maurizio Costanzo, l’attentato a Firenze in via dei Georgofili, vicino agli Uffizi, ancora 5 morti. In mezzo l’arresto di Toto Riina. A essere colpiti non sono più solo gli uomini dello stato, ma anche i luoghi della cultura, dell’arte, della fede. Questa sera – a 32 anni di distanza – la Diocesi di Roma e Libera hanno organizzato un appuntamento di memoria presso la Chiesa di Santa Maria ai Monti.






