Un paradosso tutto italiano, quello che si sta consumando ad Ardea. Dopo quasi quarant’anni dal primo condono edilizio richiesto nel lontano 1985, il Comune ha deciso di avviare finalmente l’istruttoria per valutare la possibilità di sanare un immobile abusivo, costruito senza autorizzazione. Ma a sorpresa, a opporsi non è stato un comitato ambientalista né un ente di controllo, bensì lo stesso cittadino che all’epoca aveva presentato l’istanza di sanatoria. L’uomo – proprietario dell’immobile – ha impugnato davanti al TAR del Lazio l’avviso inviato di recente dal Comune, con cui veniva invitato a integrare la documentazione necessaria per completare la procedura di condono. Una mossa inattesa, che ha destato stupore negli ambienti amministrativi. Il ricorso, secondo quanto si apprende, è motivato dal fatto che il richiedente considera l’atto lesivo dei propri diritti. In sostanza, non vuole che il procedimento venga portato avanti, forse per evitare spese, responsabilità, o ulteriori accertamenti sull’immobile. Una vicenda che, oltre al profilo giuridico inedito, evidenzia anche le lungaggini burocratiche che hanno caratterizzato il rapporto tra cittadini e pubblica amministrazione nel campo dell’edilizia. Non è raro infatti che le pratiche di condono, soprattutto quelle legate alle leggi del 1985, 1994 e 2003, restino in sospeso per decenni, in attesa di un’istruttoria completa o di un indirizzo politico chiaro. Ora toccherà ai giudici del TAR stabilire se l’ente avesse diritto a riavviare d’ufficio la pratica, o se, viceversa, il silenzio protratto per così tanto tempo possa aver fatto maturare una situazione di irrilevanza giuridica o addirittura di decadenza dell’interesse pubblico. Nel frattempo, il caso di Ardea si candida a diventare un emblematico esempio di contraddizioni normative e lentezze procedurali, che spesso finiscono per intrappolare cittadini e amministrazioni in un labirinto senza via d’uscita.