La Corte di Cassazione ha definitivamente rigettato il ricorso di un avvocato che chiedeva al Comune di Ardea il pagamento di compensi professionali mai ricevuti. Con una sentenza netta, la Suprema Corte ha confermato la correttezza della decisione della Corte d’Appello di Roma, che nel 2019 aveva dichiarato inammissibile per tardività l’appello presentato dal legale contro il Comune. Nel ricorso in Cassazione, il professionista aveva sollevato una lunga serie di contestazioni, sostenendo tra l’altro che la Corte d’Appello non fosse competente e che il termine di trenta giorni per proporre l’appello non fosse ancora scaduto, poiché la prima notifica della sentenza non era andata a buon fine. Una tesi respinta dai giudici della Cassazione, che hanno bollato il ricorso come “infondato e da rigettare”, chiarendo che le tempistiche erano state ampiamente superate, e che il confronto tra le date non era sufficiente per “recuperare la tempestività dell’appello”. Secondo la Suprema Corte, in casi come questo – in cui la notifica dell’atto processuale non va a buon fine per cause non imputabili al notificante – è compito dello stesso notificante riattivare la procedura “con immediatezza”, senza indugi. In altre parole: se il destinatario non si fa trovare per responsabilità proprie, spetta a lui attivarsi prontamente per regolarizzare la situazione. Un obbligo che, secondo la sentenza, non è stato rispettato dall’avvocato. Così, anche l’ultimo grado di giudizio ha dato ragione all’amministrazione comunale, ponendo fine a una vicenda giudiziaria durata anni. Per il legale, oltre alla sconfitta sul piano sostanziale, nessuna possibilità di recuperare gli onorari reclamati, mentre per il Comune di Ardea si tratta di una conferma giuridica del corretto operato dell’ente. Una sentenza che rafforza il principio di certezza dei termini processuali, e che, secondo molti addetti ai lavori, potrebbe rappresentare un precedente rilevante per casi simili in futuro.
