martedì, Agosto 5, 2025

Meloni: “Il tribunale dei Ministri archivia la mia posizione sul caso Almasri”. Rischiano il processo Nordio, Piantedosi e Mantovano

“Oggi mi è stato notificato il provvedimento dal Tribunale dei ministri per il caso Almasri: dopo oltre sei mesi dal suo avvio, rispetto ai tre mesi previsti dalla legge, e dopo ingiustificabili fughe di notizie. I giudici hanno archiviato la mia sola posizione, mentre dal decreto desumo che verrà chiesta l’autorizzazione a procedere nei confronti dei Ministri Piantedosi e Nordio e del Sottosegretario Mantovano”. Lo scrive sui social la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. “E’ una tesi palesemente assurda. A differenza di qualche mio predecessore, che ha preso le distanze da un suo ministro in situazioni similari, rivendico che questo Governo agisce in modo coeso sotto la mia guida: ogni scelta, soprattutto così importante, è concordata. E’ quindi assurdo – rimarca la presidente del Consiglio – chiedere che vadano a giudizio Piantedosi, Nordio e Mantovano, e non anche io, prima di loro”.     “Nel merito ribadisco la correttezza dell’operato dell’intero Esecutivo, che ha avuto come sola bussola la tutela della sicurezza degli italiani. L’ho detto pubblicamente subito dopo aver avuto notizia dell’iscrizione nel registro degli indagati, e lo ribadirò in Parlamento, sedendomi accanto a Piantedosi, Nordio e Mantovano al momento del voto sull’autorizzazione a procedere”, conclude la premier. Il caso ha avuto inizio lo scorso 6 gennaio, quando il capo della polizia giudiziaria libica ha iniziato il suo viaggio per l’Europa, volando da Tripoli a Londra e facendo scalo all’aeroporto di Roma-Fiumicino. Dopo essersi trattenuto nella capitale britannica per sette giorni, il 13 gennaio Almasri si è trasferito a Bruxelles in treno per poi proseguire diretto in Germania, viaggiando in macchina con un amico. Durante il suo tragitto verso Monaco, il 16 gennaio, è stato fermato dalla polizia per un controllo di routine e gli agenti lo hanno lasciato proseguire. Infine è arrivato a Torino in auto, per assistere a una partita di calcio.  Sabato 18 gennaio, dodici giorni dopo l’inizio del viaggio del comandante libico in giro per l’Europa, la Corte penale internazionale – con una maggioranza di due giudici a uno – spicca un mandato d’arresto sul generale per crimini di guerra e contro l’umanità commessi nella  prigione di Mittiga, vicino a Tripoli, dal febbraio 2011. In quel carcere sotto il suo comando, secondo i documenti dell’Aia, sarebbero state uccise 34 persone e un bimbo violentato. Domenica 19 gennaio Almasri, da poco arrivato nel capoluogo piemontese, viene fermato e messo in carcere dalla polizia italiana ma viene in seguito rilasciato il 21 gennaio su disposizione della Corte d’Appello a causa di un errore procedurale: si è trattato di un arresto irrituale, perché la Corte penale internazionale non aveva in precedenza trasmesso gli atti al Guardasigilli Nordio. L’arresto non è stato “preceduto dalle interlocuzioni con il ministro della Giustizia, titolare dei rapporti con la Corte penale internazionale; ministro interessato da questo ufficio in data 20 gennaio, immediatamente dopo aver ricevuto gli atti dalla Questura di Torino, e che, ad oggi, non ha fatto pervenire nessuna richiesta in merito”, si legge nell’ordinanza della corte di Appello di Roma, che dispone l’immediata scarcerazione. Poco dopo il suo rilascio, nello stesso giorno, il comandante libico è stato rimpatriato dall’Italia su un volo di Stato, prima di essere portato in trionfo da decine di suoi sostenitori che lo hanno accolto festanti. La serie di eventi ha scatenato le accese proteste dell’opposizione e della stessa Corte penale internazionale, dopo aver visto sfumare la consegna di un uomo che voleva arrestare per crimini di guerra e contro l’umanità. “Stiamo cercando, e non abbiamo ancora ottenuto, una verifica da parte delle autorità sui passi compiuti”, ha fatto sapere la Corte Penale Internazionale.  Un paio di giorni dopo il governo interviene ufficialmente per la prima volta, attraverso il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, che al question time al Senato fornisce una prima risposta: una volta scarcerato su disposizione della Corte d’Appello, Almasri è stato “rimpatriato a Tripoli, per urgenti ragioni di sicurezza, con mio provvedimento di espulsione, vista la pericolosità del soggetto” e per il fatto che dal momento del rilascio “era ‘a piede libero’ in Italia”. Dopo l’annuncio dell’indagine, l’intervento atteso di Piantedosi e Nordio sul caso Almasri è inizialmente saltato. L’informativa si è poi tenuta il 5 febbraio: i ministri dell’Interno e della Giustizia hanno sostenuto la correttezza dei loro atti, contrapponendola alle “incongruenze” ed agli “errori” di quelli della Corte dell’Aja. In particolare, si è parlato di un arresto eseguito senza la preventiva consultazione col ministero della Giustizia, di un mandato della Corte penale internazionale con “gravissime anomalie” e dunque “radicalmente nullo”. In particolare, Nordio ha spiegato che la Giustizia non ha un ruolo da mero “passacarte”, ma è un “organo politico” che analizza e valuta bene prima di decidere. E mentre via Arenula valutava, la Corte d’appello di Roma scarcerava il libico, rilevando “irritualità” nell’arresto, perché “non preceduto dalle interlocuzioni con il ministro della Giustizia”, che, interessato il giorno prima dalla stessa Corte “non ha fatto pervenire alcuna richiesta in merito”. Ma non c’è stata negligenza, sottolinea il Guardasigilli: nel documento della Cpi, “c’era tutta una serie di criticità che avrebbero reso impossibile un’immediata richiesta alla Corte d’appello”.

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