Una sentenza destinata a fare scuola quella emessa dal TAR Lazio, presieduto dal giudice Christian Corbi, che ha accolto in larga parte il ricorso presentato da due cittadini contro il Comune di Ardea in materia di condono edilizio. La vicenda prende le mosse da una domanda di sanatoria presentata nel lontano 1986, per la quale il Comune, a quasi quarant’anni di distanza, aveva chiesto ai ricorrenti il pagamento di oltre 56 mila euro tra oblazione, oneri concessori e diritti di segreteria. Il Tribunale amministrativo ha però demolito le pretese dell’ente locale, fissando alcuni principi chiari: l’oblazione non è dovuta, poiché era già stata versata all’epoca della domanda; gli oneri concessori devono essere calcolati utilizzando le tariffe vigenti nel 1986, non quelle attuali come aveva fatto il Comune; l’amministrazione dovrà quindi ricalcolare gli importi seguendo i criteri stabiliti dalla legge al momento della presentazione della domanda. Un punto centrale della decisione riguarda il comportamento dell’amministrazione comunale, che i giudici hanno definito “dilatorio”. Secondo il TAR, infatti, la lentezza con cui il Comune ha gestito la pratica ha finito per danneggiare i cittadini, generando un aumento ingiustificato dei costi. Il giudice Corbi ha sottolineato che applicare tariffe attuali a una domanda vecchia di decenni sarebbe non solo iniquo e lesivo dell’affidamento legittimo del cittadino, ma rischierebbe addirittura di premiare la lentezza della macchina amministrativa, trasformando un ritardo procedurale in un vantaggio economico per l’ente. La sentenza, oltre a ridimensionare drasticamente le somme dovute dai ricorrenti, apre scenari rilevanti per le migliaia di pratiche di condono ancora pendenti in Italia. Ad Ardea, in particolare, dove i condoni rappresentano una parte consistente della storia urbanistica del territorio, il pronunciamento potrebbe avere un effetto domino, spingendo altri cittadini a contestare richieste di pagamento ritenute illegittime. Ora spetterà al Comune ricalcolare gli importi secondo i criteri fissati dal TAR. Resta da capire se l’amministrazione deciderà di appellarsi al Consiglio di Stato per ribaltare la decisione. Nel frattempo, il verdetto segna un precedente importante, che mette un freno alle prassi più discutibili nella gestione delle sanatorie edilizie e riafferma il principio secondo cui la certezza del diritto deve prevalere sulla burocrazia lenta e penalizzante.