Si fidava ciecamente della sua amica, conosciuta in parrocchia, tanto da consegnarle le chiavi di casa e l’accesso al proprio conto corrente per gestire insieme piccole spese quotidiane e qualche donazione alla Chiesa. Invece, quella fiducia si è trasformata in un incubo. Patrizia, 63 anni, romana, si è ritrovata con il conto azzerato, vittima di una truffa architettata proprio da quella che considerava una “sorella in Cristo”. Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, decine di bonifici – di importi variabili dai 500 ai 3.000 euro – sono stati eseguiti in pochi mesi “in nome del Signore”, come scriveva la presunta truffatrice nella causale dei versamenti. Tutti i movimenti, però, confluivano su conti personali riconducibili alla donna, una sessantenne molto attiva negli ambienti religiosi del quartiere. La vittima, insospettita solo quando la banca l’ha contattata per segnalare l’anomalia dei movimenti, ha scoperto la verità: oltre 40mila euro spariti nel giro di un anno. Inizialmente incredula, Patrizia ha provato a chiedere spiegazioni all’amica, che avrebbe risposto con frasi evasive e mistiche: “Ho agito per volontà divina, per aiutare chi soffre”. Ma a soffrire, alla fine, è stata solo lei. La donna si è quindi rivolta ai Carabinieri, presentando una denuncia per truffa aggravata e appropriazione indebita. Le indagini, coordinate dalla Procura di Roma, hanno portato al sequestro dei conti della presunta responsabile e alla ricostruzione minuziosa delle operazioni finanziarie. Dalle verifiche è emerso che una parte del denaro sarebbe stata utilizzata per viaggi, cene e acquisti personali, ben lontani da qualunque scopo caritatevole. “Non avrei mai immaginato che potesse ingannarmi così – ha raccontato Patrizia agli inquirenti –. Mi fidavo di lei, andavamo a Messa insieme, parlavamo di fede e speranza. Mi diceva che stava aiutando i poveri e invece stava impoverendo me”. Il caso ha scosso la comunità parrocchiale del quartiere, dove la presunta truffatrice era conosciuta e stimata. Il parroco, venuto a conoscenza della vicenda, ha espresso solidarietà alla vittima e ha condannato duramente l’accaduto: “Usare il nome di Dio per rubare è un sacrilegio morale prima ancora che un reato”. Ora il fascicolo è nelle mani della magistratura, che dovrà stabilire l’entità delle responsabilità e se vi siano altre vittime cadute nella rete della “pia” truffatrice. Intanto, Patrizia si è detta pronta a ricominciare, ma con una lezione incisa nel cuore: “La fede non va mai confusa con la cieca fiducia”.