Un gesto intimidatorio, qualunque ne sia l’origine, non può essere liquidato come un episodio isolato. Nessuno crede che sia legato alla denuncia “politica” in sé — circoscritta a segnalazioni di disservizi e degrado — ma il messaggio resta inquietante. Un segnale che dovrebbe scuotere la coscienza di un’intera comunità. E che invece si consuma nel silenzio, in un clima di assuefazione pericolosa. Come se tutto fosse “normale”. Non lo è. Non deve esserlo. A poche decine di metri dal Palazzo del Pincio e dal commissariato di Polizia, un camper di rom ha stazionato per giorni in largo Galli, nel cuore della città. Bivacchi all’aperto, rifiuti, bisogni fatti in strada, occhi che scrutano i movimenti degli abitanti, perfino annotazioni in codice su fogli volanti. Scene che sembrano tratte da un film di degrado urbano estremo, ma che accadono a due passi dal centro. Sotto gli occhi di tutti. Nell’indifferenza generale. Due episodi diversi, eppure legati da un filo rosso: Civitavecchia non è più la stessa. Una città dove chi denuncia viene minacciato, dove chi infrange le regole lo fa impunemente, e dove la sicurezza – un tempo valore condiviso – è oggi una percezione fragile, incerta, quasi perduta. E la reazione? Nessuna. Nessuna parola ufficiale sulle minacce a Benedetti, nessuna presa di posizione sul degrado di largo Galli, nonostante le segnalazioni dei residenti. Tutto scorre, tutto si dimentica, come se la città fosse anestetizzata. Ma non può finire così. Serve una sterzata vera, un ritorno al senso di comunità, al rispetto delle regole, alla forza delle istituzioni. Servono risposte, non più giustificazioni. Perché chi manda proiettili lo fa per zittire, e chi si accampa nel cuore della città lo fa perché sa che nessuno interverrà. Il degrado non è solo quello fisico. È, prima di tutto, morale. Ed è da lì che Civitavecchia deve ripartire, se vuole ritrovare la sua anima.
Civitavecchia, tra intimidazioni e degrado: una città che non può più restare in silenzio






