domenica, Novembre 9, 2025

Riforma fiscale, il tabù delle tasse blocca l’Italia: tra patrimoniale, tagli simbolici e infedeltà fiscale

In Italia chi tocca le tasse si brucia. È una regola non scritta che attraversa governi e legislature, spiegando perché la riforma fiscale resti da decenni un cantiere aperto, mai davvero avviato. Ogni ipotesi di intervento sul prelievo scatena un vortice di timori: perdita di consenso, rischio per i conti pubblici, o peggio, incentivo all’infedeltà fiscale. E così il sistema rimane immobile, mentre il dibattito ricompare ciclicamente senza produrre scelte coraggiose. La prima trappola è politica. Una redistribuzione reale del carico fiscale richiederebbe l’introduzione di strumenti impopolari ma efficaci: una patrimoniale o un aumento delle tasse sugli immobili, le poche leve in grado di garantire gettito certo e consistente. Strumenti capaci di finanziare un taglio incisivo delle imposte sui redditi più bassi. Ma proporli significa assumersi il rischio di alienare una parte di elettorato, e nessuna maggioranza, finora, ha avuto la forza di farlo.
L’alternativa, all’opposto, è un taglio generalizzato delle imposte. Una strada spesso evocata, ma che — numeri alla mano — rischia di creare buchi nei conti pubblici se non accompagnata da nuove coperture strutturali. Senza contare il terzo scenario: promettere condoni e sanatorie, ribattezzati “pace fiscale”. Una scelta che può portare consenso nel breve termine, ma che mina la fiducia nel sistema, penalizzando chi le tasse le paga sempre e con regolarità.
Ecco perché la riforma fiscale resta un miraggio. E la fotografia delle dichiarazioni dei redditi conferma ogni anno la stessa realtà: a pagare le tasse in Italia è una minoranza stabile, mentre una quota troppo ampia di contribuenti dichiara redditi che non corrispondono al proprio tenore di vita. Un’anomalia così evidente da risultare insostenibile nel lungo periodo. Se si volesse davvero cambiare passo, la priorità dovrebbe essere una sola: la lotta all’elusione e all’evasione fiscale. Ma significa potenziare i controlli, inasprire le sanzioni e abbassare la soglia di tolleranza. Un approccio impopolare, che difficilmente porta consensi, ma che è l’unico capace di liberare risorse e riequilibrare il sistema.
Senza questa inversione di rotta, i margini di manovra continuano a restringersi fino quasi a scomparire. La politica resta davanti a un bivio: spostare il carico fiscale, aprendo davvero il dossier patrimoniale e l’aumento della tassazione immobiliare, oppure ridurre ulteriormente le tasse, accettando però che a pagare il prezzo siano servizi fondamentali come sanità, scuola pubblica e welfare. Finché nessuna forza politica si assumerà il costo di una scelta chiara, la riforma fiscale resterà una promessa non mantenuta, intrappolata tra tabù, paure e convenienze elettorali.

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