Fuori dal Tribunale di Roma, in piazzale Clodio, campeggia uno striscione con il volto sorridente di Valeria Fioravanti e la scritta “Giustizia per Valeria”. Sono stati i suoi genitori i primi ad arrivare questa mattina, stringendo tra le mani le foto della figlia, morta a soli 27 anni, il 10 gennaio 2023, a causa di una meningite batterica non diagnosticata in tempo. In aula, oggi, parlano loro e i familiari della giovane madre, che ha lasciato una bambina di appena 13 mesi. Sul banco degli imputati siedono tre medici, uno del Policlinico Casilino e due dell’Ospedale San Giovanni, accusati di omicidio colposo. Secondo la Procura di Roma, rappresentata dal pubblico ministero Eleonora Fini, il calvario di Valeria iniziò durante le festività natalizie del 2022. Un piccolo ascesso causato da un pelo incarnito, un intervento chirurgico, poi dolori sempre più forti e ripetuti accessi ai pronto soccorso dei due ospedali romani. La meningite, spiega l’accusa, fu scambiata per cefalea o lombosciatalgia, senza che venissero eseguiti gli esami necessari né effettuata una valutazione neurologica approfondita. Solo una Tac cerebrale, la seconda in pochi giorni, rivelò l’infezione, ma ormai era troppo tardi. «Mia figlia si poteva salvare», denuncia con voce rotta Stefano Fioravanti, il padre di Valeria. Di contro, le difese dei medici imputati sostengono di aver rispettato i protocolli e di aver agito secondo le linee guida cliniche del momento. Commoventi le parole della madre, Tiziana, che davanti ai cronisti non trattiene le lacrime: «Chiedo solo giustizia per mia figlia, e per mia nipote che ogni sera mi domanda se la mamma tornerà o se dormirà per sempre». Un processo difficile, carico di dolore, che oggi riapre una ferita profonda e pone ancora una volta l’accento sulla responsabilità e i limiti della sanità pubblica.






