lunedì, Dicembre 8, 2025

La ‘Linea Gialla’ è il nuovo confine difensivo di Israele. Hamas pronta a deporre le armi

Il capo dell’esercito israeliano, il tenente generale Eyal Zamir, afferma che la linea di demarcazione dietro la quale le truppe israeliane si sono ritirate a Gaza è un “nuovo confine”, secondo una dichiarazione militare. “Abbiamo il controllo operativo su vaste aree della Striscia di Gaza e rimarremo su quelle linee di difesa. La linea gialla è una nuova linea di confine che funge da linea difensiva avanzata per le nostre comunità e da linea di attività operativa”, ha affermato Zamir rivolgendosi ai soldati di riserva a Gaza, secondo quanto riportato dall’esercito. In base al cessate il fuoco mediato dagli Stati Uniti tra Israele e Hamas a Gaza, le forze israeliane si sono ritirate dietro la cosiddetta linea gialla. Hamas sarebbe pronta a discutere di “congelare o immagazzinare” il proprio arsenale di armi come parte del cessate il fuoco con Israele. Lo ha dichiarato un alto funzionario del gruppo proponendo una possibile formula per risolvere una delle questioni più spinose della tregua a Gaza mediata dagli Stati Uniti. Lo scrive il Times of Israel. Bassem Naim, membro dell’ufficio politico decisionale di Hamas, ha parlato mentre le parti si preparano a passare alla seconda e più complessa fase del piano in 20 punti del presidente degli Stati Uniti Donald Trump per l’enclave. “Siamo aperti ad adottare un approccio globale per evitare ulteriori escalation o ulteriori scontri o esplosioni” ha dichiarato Naim all’Associated Press nella capitale del Qatar, Doha, dove si trova gran parte della leadership del gruppo. È il quotidiano libanese ‘Nidaa al-Watan’ a svelare un retroscena su quanto starebbe avvenendo in Libano. Secondo una fonte diplomatica, il presidente del parlamento libanese Nabih Berri si sarebbe rivolto alla guida suprema dell’Iran, Ali Khamenei, con una richiesta insolita. Berri, riporta la testata israeliana Kan, avrebbe chiesto a Khamenei di emettere una “fatwa” (cioè una sentenza religiosa) che avrebbe consentito a Hezbollah di consegnare i missili di precisione e la schiera di droni in suo possesso. L’iniziativa avrebbe dovuto consentire a Berri, che aveva assunto questa missione con gli americani, di ottenere il consenso degli Stati Uniti a un accordo che avrebbe portato alla fine definitiva della guerra. Nel frattempo, l’arena politica libanese continua a ribollire sui termini dei negoziati con Israele. Il leader druso libanese, Walid Jumblatt, ha dichiarato, dopo un incontro con Nabih Berri ad Ain a-Tina, che il Libano sta conducendo i colloqui secondo principi chiari: il ritiro delle forze di difesa israeliane, un cessate il fuoco stabile e permanente e il ritorno dei residenti del sud nei loro villaggi. Nel suo discorso, Jumblatt ha anche risposto alle dichiarazioni dell’ambasciatore israeliano a Washington in merito alla possibilità di normalizzare le relazioni, e ha escluso categoricamente la possibilità di una normalizzazione delle relazioni: “No, no. Rispetteremo il cessate il fuoco e poi torneremo ai principi fondamentali del vertice arabo del 2002 a Beirut: territorio in cambio di pace”. Sulla questione del disarmo di Hezbollah, Jumblatt ha espresso una ferma posizione a sostegno del rafforzamento della sovranità del paese. Ha sottolineato il suo sostegno alle misure adottate dall’esercito libanese a sud del fiume litani in tutte le questioni relative al disarmo di Hezbollah in quest’area. Secondo lui, l’obiettivo è il pieno dispiegamento dell’esercito libanese nel sud del paese in una prima fase, per poi estendersi all’intero territorio nazionaleL’Onu denuncia l’apatia del mondo di fronte alla sofferenza di milioni di persone sul pianeta e lancia un appello umanitario per il 2026, notevolmente ridimensionato, per rispondere ai finanziamenti in caduta libera. “Questa è un’epoca di brutalità, impunità e indifferenza” ha detto durante una conferenza stampa a New York il capo delle operazioni umanitarie delle Nazioni Unite, Tom Fletcher, presentando un piano la cui versione ridotta spera di raccogliere almeno 23 miliardi di dollari per aiutare 87 milioni di persone a Gaza, in Sudan, ad Haiti, in Myanmar e in Ucraina. Atteso trilaterale a New York tra Israele, Stati Uniti e Qatar per ricostruire i rapporti tra i tre Paesi, dopo il fallito raid israeliano di settembre a Doha contro la leadership di Hamas. Lo rivela Axios, che cita due fonti al corrente dell’incontro, quello di più alto livello dalla fine della guerra a Gaza due mesi fa. Per Gli Stati Uniti c’è l’inviato della Casa Bianca, Steve Witkoff, per Israele il capo del Mossad, David Barnea, mentre Axios non precisa chi rappresenterà Doha. Nonostante le scuse del premier israeliano Benjamin Netanyahu al premier del Qatar Mohammed bin Abdulrahman Al Thani – fatte nel corso di una telefonata dalla Casa Bianca alla presenza di Donald Trump – le tensioni tra Tel Aviv e Doha non si sono del tutto appianate. E nonostante il Qatar, dopo essersi ritirato in seguito al raid, abbia ripreso il suo ruolo di mediazione tra Israele e Hamas. Gli Stati Uniti hanno dunque proposto un meccanismo trilaterale “per rafforzare il coordinamento, migliorare la comunicazione, risolvere le reciproche controversie e rafforzare gli sforzi collettivi per prevenire le minacce”. L’incontro di oggi è il primo in cui i tre paesi si riuniscono nell’ambito di tale meccanismo. Netanyahu ha già dichiarato che, in questo contesto, intende sollevare le questioni relative al sostegno del Qatar alla Fratellanza Musulmana, all’ostilità verso Israele nelle trasmissioni di Al Jazeera (finanziata dal Qatar) e al presunto sostegno del Qatar ai sentimenti anti-israeliani nei campus universitari statunitensi. Ciononostante, è probabile che l’incontro trilaterale si concentrerà in gran parte sull’attuazione dell’accordo di pace di Gaza, in particolare sul disarmo di Hamas e su altre questioni delicate nella transizione alla seconda fase dell’accordo.

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