martedì, Dicembre 9, 2025

Migranti, rimpatri accelerati e hub nei Paesi sicuri: il Consiglio Ue approva il nuovo regolamento

Nel Consiglio Affari Interni dell’Unione Europea i governi hanno approvato un accordo politico che introduce per la prima volta obblighi precisi per i cittadini extra-Ue irregolari, procedure accelerate e la possibilità di creare “return hub” (o centri di rimpatrio) in Paesi non membri. È una riforma che punta alla standardizzazione e alla rapidità, elementi che negli ultimi anni l’UE ha considerato prioritari. Si tratta di una decisione importante, soprattutto perché giunge in un momento in cui gli arrivi irregolari sono diminuiti, e racconta più le preoccupazioni della politica europea che un’emergenza reale.

Il regolamento

Istituisce strumenti di cooperazione tra gli Stati membri, un fondo di solidarietà per sostenere quelli più esposti agli arrivi. e impone a coloro che non hanno diritto di soggiorno di rispettare l’obbligo di lasciare il territorio dello Stato membro e di collaborare con le autorità. Altri obblighi includono quello di rimanere a disposizione delle autorità, fornire loro un documento d’identità o di viaggio, fornire i propri dati biometrici e non opporsi fraudolentemente alla procedura di rimpatrio. Ci saranno conseguenze anche quando le persone a cui è stato intimato il rimpatrio non collaboreranno. Gli Stati membri possono decidere di rifiutare o dedurre determinati benefici e indennità, rifiutare o revocare permessi di lavoro o imporre sanzioni penali che, secondo la posizione del Consiglio, dovrebbero includere anche la reclusione.

Il Paese di rimpatrio

Può essere un Paese con cui esiste un accordo o un’intesa in base alla quale viene accettata una persona che non ha diritto di soggiornare negli Stati membri. Stabilisce inoltre le condizioni per la creazione di tali accordi o intese. Ad esempio, possono essere conclusi solo con un Paese terzo in cui siano rispettati gli standard internazionali in materia di diritti umani e i principi di diritto internazionale, incluso il principio di non respingimento. Nel regolamento, inoltre, indicate le procedure per il rimpatrio di una persona in soggiorno irregolare, le condizioni per il suo soggiorno nel Paese extra-Ue e le conseguenze in caso di mancato rispetto dell’accordo o dell’intesa. I centri di rimpatrio possono fungere sia da centri per il rimpatrio verso il Paese di rimpatrio finale sia da centri di destinazione finale.

Cambia il concetto di Paese terzo

La modifica consente agli Stati membri dell’Ue di respingere una domanda di asilo come inammissibile, senza esaminarne il merito, quando i richiedenti asilo avrebbero potuto chiedere e ottenere protezione internazionale in un Paese extra-Ue considerato sicuro per loro, per esempio passandoci. Gli Stati membri potranno applicare il concetto di Paese terzo sicuro sulla base di tre opzioni: Prima opzione: esiste un legame tra il richiedente asilo e il Paese terzo. Tuttavia, il legame non sarà più un criterio obbligatorio per l’utilizzo di questo concetto. Seconda opzione: il richiedente asilo ha transitato attraverso il Paese terzo sicuro prima di raggiungere l’Ue. Terza opzione: esiste un accordo o un’intesa con un Paese terzo sicuro che garantisca che la richiesta di asilo di una persona venga esaminata nel Paese terzo in questione. L’applicazione del concetto di Paese terzo sicuro sulla base di un accordo o di un’intesa non è possibile nel caso di minori non accompagnati.

I Paesi terzi da considerare sicuri

Il Consiglio ha convenuto che i seguenti paesi dovrebbero essere designati come paesi di origine sicuri a livello dell’Ue: Bangladesh, Colombia, Egitto, India, Kosovo, Marocco e Tunisia. Anche i paesi candidati all’adesione all’Ue (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Georgia, Macedonia del Nord, Moldavia, Montenegro, Serbia, Turchia) sono designati come paesi di origine sicuri a livello dell’Unione, a meno che nel paese non vi sia una situazione di conflitto armato internazionale o interno, siano state adottate misure restrittive che incidono sui diritti e sulle libertà fondamentali o la percentuale di decisioni positive prese dalle autorità degli Stati membri nei confronti dei richiedenti provenienti dal paese sia superiore al 20%.

La questione irrisolta della solidarietà

Il prossimo passaggio riguarda il meccanismo di ricollocazione dei richiedenti asilo. Il sistema prevede che ogni Paese dell’UE debba accogliere una quota o, in alternativa, versare 20.000 euro per ogni persona non ricollocata. È una soluzione pensata per alleggerire Paesi come Italia e Grecia, ma che rischia di trasformarsi nell’ennesima compensazione economica al posto di una vera condivisione delle responsabilità. Diversi governi hanno già dichiarato che pagheranno piuttosto che accogliere. E questo mostra quanto il principio di solidarietà, che dovrebbe essere uno dei pilastri del nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo, sia ancora fragile.

Percezione pubblica più che efficacia delle misure

L’idea dichiarata dai promotori è “dare ai cittadini la sensazione che la situazione sia sotto controllo”, come ha detto esplicitamente giovedì scorso il commissario europeo austriaco Magnus Brunner, artefice di questa stretta migratoria. È un’espressione insolita perché ammette esplicitamente che il tema non è tanto l’efficacia delle misure, quanto la percezione pubblica. E che il dibattito politico, oggi, è orientato a inseguire le pressioni dei partiti conservatori e di estrema destra, più che a misurare l’impatto delle scelte.

Non tutti sono convinti

Francia e Spagna hanno espresso dubbi giuridici e pratici, soprattutto sui centri in Paesi terzi. In effetti, le esperienze precedenti – dall’accordo Italia-Albania ai tentativi avviati da altri governi – mostrano che creare strutture fuori dall’UE è molto più complicato di quanto sembri.

Il ‘caso’ Italia-Albania

Il caso sul trasferimento di migranti verso i centri in Albania è stato ‘rinviato’ alla Corte di Giustizia Europea con due richieste pregiudiziali presentate dai giudici italiani. Quando la Corte ha esaminato la nozione di ‘Paese sicuro’ ha stabilito che una designazione generica non basta: serve la garanzia che ogni persona possa avere un controllo giurisdizionale effettivo. La Corte ha rifiutato la richiesta di trattare la causa con procedura d’urgenza, avvertendo che i tempi possono richiedere anche fino a due anni per una decisione definitiva.La Corte ha stabilito che non basta un decreto-legge di uno Stato membro per considerare un Paese terzo “sicuro” e trasferire lì migranti/ richiedenti asilo: quella  designazione deve poter essere contestata dai giudici nazionali con un effettivo controllo giurisdizionale. In particolare, nel caso esaminato — in cui migranti soccorsi in mare furono trasferiti in centri di detenzione in Albania sulla base di accordi con lo Stato italiano — la Corte ha dichiarato che la normativa italiana non rispettava le garanzie previste dal diritto UE. La Corte ha affermato che, fino a quando non entrerà in vigore un regolamento UE chiaro che disciplini gli “hub/return-hub”, non è legittimo considerare automaticamente “sicuro” un paese terzo per tutti i migranti: la sicurezza deve essere valutata caso per caso e con verifica giurisdizionale. In sostanza la Corte di giustizia europea ha bocciato la modalità con cui alcuni governi (tra cui l’Italia) hanno inteso utilizzare centri in paesi terzi per il rimpatrio di migranti — ribadendo che la tutela dei diritti fondamentali e il controllo giudiziario devono sempre essere garantiti.

 

 

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