“Dobbiamo parlare, vieni da me o prima delle 12 o dopo le 16”. È la mattina del 24 marzo scorso, quando Ilaria Sula scrive questo messaggio all’ex fidanzato, Mark Samson, che poi confesserà il suo omicidio. Il 25 Ilaria sparisce. L’ultima transazione bancaria un biglietto dell’Atac, quello acquistato per andare nell’appartamento di Samson, in via Homs, nel quartiere africano a Roma. Lì dove poi il 23enne la ucciderà con tre coltellate al collo. La messa in scena di Samson per allontanare da sé ogni sospetto – sostiene la Procura – raccontata, davanti alla Prima Corte d’Assise, dai poliziotti che allora fecero le indagini. Il 29 marzo, quando la studentessa ternana è già morta da giorni, l’imputato fa 6 chiamate vocali al telefono della ex. E poi le invia un whatsapp: “Ohi Ila, dove sei? Per favore, rispondi. Stai facendo preoccupare tutti”, scrive Samson. Il corpo di Ilaria infilato in una valigia, le gambe fuori dal trolley, gettato a 15 metri dalla strada, in un dirupo, racconta un poliziotto della Squadra Mobile, impegnato il 2 aprile nelle operazioni di recupero a Capranica Prenestina. Diversamente dalla prima udienza, l’imputato non c’è. Ci sono però i genitori della 22enne, Flamur e Gezime, costretti ad aspettare fuori perché parti civili e allo stesso tempo testimoni nel processo. Tra il pubblico gli amici e i parenti della vittima, con indosso la maglietta “Giustizia per Ilaria”.Quella che non è stata fatta – sostiene la Famiglia Sula – con la mamma di Samson, Nors Manlapaz, che ha patteggiato una condanna a due anni con pena sospesa per occultamento di cadavere. Per l’accusa la donna avrebbe aiutato il figlio a ripulire le macchie di sangue dopo il femminicidio.






