Dopo mesi di intense pressioni da parte di governi influenti come Italia e Germania, e del settore automobilistico europeo, la Commissione Europea ha annunciato un brusco, seppur atteso, dietrofront sul divieto totale di vendita dei motori termici a partire dal 2035. Quello stop, che era diventato il simbolo della severità del Green Deal, viene ora ammorbidito da un pacchetto di misure che rappresenta una significativa deviazione dalle politiche ambientaliste degli ultimi sei anni. La Commissione UE ha infatti riscritto la norma sulle emissioni, fissando l’obiettivo di ridurle del 90% rispetto ai livelli del 2021, anziché del 100% come previsto in precedenza. Questa modifica, varata a Strasburgo dopo un ritardo nella conferenza stampa iniziale a causa delle intense discussioni tra i commissari, lascia uno spazio nel mercato post-2035 per la commercializzazione di veicoli dotati di motori termici, ibridi plug-in e con range extender, superando l’idea di una transizione limitata esclusivamente a veicoli elettrici puri o a idrogeno. Per compensare quel 10% di emissioni residue tollerate, le case automobilistiche dovranno accumulare “crediti” attraverso strategie specifiche. Le opzioni includono la produzione con acciaio a basso tenore di carbonio fabbricato nell’Unione Europea e l’adozione di carburanti sostenibili, come i carburanti sintetici (e-fuel) e i biocarburanti non alimentari, ottenuti ad esempio da rifiuti agricoli o olio da cucina usato. L’utilizzo di biocarburanti di origine alimentare resta escluso dalle possibilità. Secondo le stime europee, questa revisione permetterà che una quota del 30-35% del mercato post 2035 sia coperta da veicoli non pienamente elettrici. La Presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, ha cercato di rassicurare che “l’Europa rimane in prima linea nella transizione globale verso un’economia pulita”, ma la decisione è stata subito interpretata dal Ministro delle Imprese, Adolfo Urso, come una “breccia nel muro dell’ideologia”, rivendicando il ruolo attivo di Roma nella battaglia sul principio di neutralità tecnologica. Tuttavia, le reazioni nel settore non sono unanimi. Mentre l’ACEA, l’associazione dei costruttori, saluta il passo verso un “percorso più pragmatico e flessibile”, e l’Unrae (Unione nazionale rappresentanti autoveicoli esteri) lo ritiene necessario perché la transizione non è stata accompagnata da un’adeguata politica industriale europea, non mancano le voci critiche. Produttori puri di auto elettriche, come la svedese Polestar, controllata dal colosso cinese Geely, hanno espresso forte disappunto. L’amministratore delegato Michael Lohscheller ha avvertito che il passo indietro non solo danneggerebbe il clima, ma comprometterebbe anche la capacità competitiva dell’Europa. Oltre alla cruciale modifica sul 90%, Bruxelles introduce altre flessibilità. Viene concessa un’estensione temporale di tre anni, dal 2030 al 2032, per conformarsi ai nuovi limiti di taglio delle emissioni e l’obiettivo di riduzione delle emissioni per i furgoni entro il 2030 viene rivisto al ribasso, passando dal 50% al 40%. Per stimolare la domanda di veicoli elettrici di piccole dimensioni prodotti nell’UE, è stata introdotta una nuova categoria di veicoli nell’ambito dell’iniziativa “small affordable cars”, che comprende veicoli elettrici fino a 4,2 metri di lunghezza. Questi veicoli beneficeranno di vincoli normativi congelati per un decennio e, se prodotti nell’Unione, potranno essere usati come “supercrediti” per raggiungere gli obiettivi di emissione di flotta. Parallelamente, l’UE ha stanziato un sostegno di 1,8 miliardi di euro, di cui 1,5 miliardi con prestiti senza interessi già il prossimo anno, per la filiera delle batterie interamente prodotta nel continente. Cruciali per l’adozione di massa sono i nuovi target nazionali obbligatori per il 2030 e il 2035 per le flotte aziendali, che rappresentano circa il 60% delle vendite di auto nuove in Europa. L’Italia, secondo la proposta, dovrà garantire una quota minima di veicoli aziendali a emissioni zero del 45% dal 2030 e dell’80% a partire dal 2035, lasciando comunque ai singoli Stati la libertà di decidere le modalità di raggiungimento.






