giovedì, Novembre 6, 2025

Inchiesta “Tritone”, la Corte d’Appello bis cancella l’accusa di mafia: crolla l’impianto del processo che portò allo scioglimento di Anzio e Nettuno

Un colpo durissimo all’impianto accusatorio dell’inchiesta “Tritone”, il maxi-procedimento nato per fare luce su una presunta presenza stabile della ’ndrangheta tra Anzio e Nettuno. La nuova sezione della Corte d’Appello di Roma, chiamata a pronunciarsi dopo l’annullamento della Cassazione nel gennaio 2025, ha escluso l’esistenza di un’associazione mafiosa nel litorale laziale e ha ricalibrato le pene su reati comuni, facendo cadere anche le aggravanti del 416 bis e dell’associazione armata. Una sentenza che segna un cambio di rotta netto rispetto al passato: nel febbraio 2023 il Gup del Tribunale di Roma, Roberto Saulino, aveva inflitto 260 anni di carcere ai 25 imputati del rito abbreviato, confermando in pieno le tesi della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma. Condanne poi confermate in Appello. Ma la Suprema Corte aveva annullato tutto con rinvio, sollevando dubbi sulla tenuta dell’accusa più grave: l’associazione mafiosa. La nuova sentenza, pronunciata il 24 luglio 2025 dalla Corte d’Appello bis, ha spazzato via l’impianto mafioso. Tra gli assolti dall’accusa di 416 bis figura Bruno Gallace, ritenuto dai pm uno dei promotori del presunto clan. Insieme a lui escono dall’accusa di mafia anche Vincenzo Italiano, Francesco Samà, Cosimo Tedesco, Fabrizio Lorenzo e Gregorio Spanò. Altri imputati – tra cui Bartolomei, Mezinaj, Leoni, Scognamiglio, Alessandri e Menichetti – hanno invece ottenuto la caduta dell’aggravante mafiosa sui reati di narcotraffico, determinando una drastica riduzione delle pene. L’operazione “Tritone”, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia e condotta tra il 2021 e il 2022, aveva portato a oltre 60 arresti e rappresentava una delle più vaste indagini antimafia nel Lazio. La DDA aveva delineato un quadro di infiltrazione profonda della ’ndrangheta calabrese nella vita economica e politica di Anzio e Nettuno: traffico di droga, estorsioni, condizionamenti alle elezioni, rapporti con funzionari pubblici. Le risultanze investigative avevano avuto un peso determinante nella decisione del Ministero dell’Interno di sciogliere per mafia entrambi i Comuni del litorale romano. Una decisione che oggi, alla luce della nuova sentenza, potrebbe sollevare nuovi interrogativi. Fonti interne alla Procura non nascondono l’amarezza, ma assicurano che l’impegno investigativo contro le infiltrazioni mafiose nella regione proseguirà senza sosta. Resta ancora aperta, per alcuni capi d’imputazione, la possibilità di un ulteriore ricorso in Cassazione da parte della Procura Generale. La sentenza della Corte d’Appello bis potrebbe rappresentare una svolta giurisprudenziale rilevante per i futuri processi contro le mafie nel centro Italia. Ma sul piano politico e sociale, segna una frattura profonda: il contrasto tra la narrativa di un territorio sotto scacco della criminalità organizzata e la valutazione dei giudici che ora escludono l’esistenza di un’associazione mafiosa strutturata. Resta il dato, comunque, di un’inchiesta che ha rivelato fragilità istituzionali, legami opachi e reti criminali radicate. Ma il cuore del processo, l’associazione mafiosa, oggi è stato definitivamente messo in discussione.

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