Un uomo abituato ai contesti più difficili, alle periferie del mondo, alle missioni umanitarie nei territori più vulnerabili. Eppure, questa volta, il pericolo lo ha travolto nel silenzio di una notte venezuelana. Un cooperante italiano di 46 anni, originario di Venezia, risulta scomparso dal 15 novembre scorso, dopo essere stato prelevato a un posto di blocco mentre viaggiava nella regione centrale del Venezuela, Paese in cui si trovava da ottobre 2024 per un nuovo progetto di sviluppo comunitario. Secondo una prima ricostruzione fornita da fonti locali e confermata da gruppi umanitari attivi nell’area, l’uomo – con decine di esperienze sul campo in Africa, Sud America e Medio Oriente – sarebbe stato fermato da agenti non identificati, separato dai colleghi con cui viaggiava e caricato su un altro veicolo, senza spiegazioni né possibilità di comunicare con l’esterno. Da allora, nessuna notizia certa, fino alla svolta delle ultime ore: il cooperante sarebbe stato trasferito nel carcere di El Rodeo, una delle strutture detentive più dure e controverse del Paese, nota per sovraffollamento, violenze interne e controllo frammentato tra autorità e gruppi criminali. El Rodeo, situato a pochi chilometri da Caracas, è tristemente conosciuto per le sue condizioni disumane. Celle sovraffollate, scarsa igiene, accesso limitatissimo a cure mediche e acqua potabile. Negli anni è diventato il simbolo del collasso carcerario venezuelano, teatro di rivolte sanguinose e di interventi militari. Sapere che un cooperante europeo si trovi lì dentro ha immediatamente fatto scattare l’allarme tra le organizzazioni internazionali e la comunità diplomatica. La famiglia, che vive ancora a Venezia, è stata informata del presunto trasferimento solo tramite fonti informali e sta cercando un contatto con la Farnesina, che al momento mantiene il massimo riserbo ma ha avviato verifiche urgenti attraverso l’ambasciata italiana a Caracas. Preoccupa soprattutto l’assenza di accuse ufficiali: né il fermo né la detenzione risultano registrati nei canali ordinari, circostanza che lascia temere un caso di detenzione arbitraria. Il cooperante – descritto dai colleghi come un professionista meticoloso, esperto di logistica umanitaria e abituato a operare in contesti fragili – si trovava in Venezuela per coordinare alcune attività di sostegno alimentare e formazione agricola in aree rurali colpite dalla crisi economica. Negli ultimi mesi aveva segnalato difficoltà crescenti nei movimenti interni e numerosi controlli non documentati da parte delle forze di sicurezza. Intanto, in patria, la notizia comincia a circolare tra le organizzazioni non governative italiane, molte delle quali chiedono una presa di posizione chiara e rapida da parte del governo: “Non possiamo perdere tempo. Le prime 72 ore sono decisive per capire in che condizioni si trovi e cosa stia accadendo”, afferma un responsabile di una ONG veneziana contattata in via informale. Il caso rischia di trasformarsi rapidamente in un incidente diplomatico. E mentre i colleghi sul campo tentano di ricostruire gli ultimi spostamenti del cooperante, resta un’unica certezza: un uomo che ha dedicato la vita ad aiutare gli altri si trova adesso immerso in uno dei luoghi più pericolosi del Venezuela, senza accuse, senza tutela e senza voce. Le prossime ore potrebbero essere decisive per il suo destino.
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