Un punto a favore della Procura Generale nel processo d’appello bis sul delitto di Serena Mollicone. La Corte d’Assise ha ammesso quasi tutti i testimoni che potrebbero confermare il presunto ingresso della 18enne, la mattina del primo giugno del 2001, nella caserma dei carabinieri di Arce. Lì dove – secondo l’accusa – la studentessa sarebbe stata tramortita, per morire poi soffocata. In aula, dunque, comparirà un teste chiave, indicato dalla stessa Cassazione nell’annullare l’assoluzione dei Mottola. Verrà sentito Gabriele Tersigni, a quei tempi alla guida della Stazione dei Carabinieri di Fontana Liri e superiore del brigadiere Santino Tuzi, morto suicida nel 2008. Proprio a Tersigni Tuzi avrebbe confidato di aver visto Serena in caserma il giorno della scomparsa. Una circostanza riferita dallo stesso Tuzi ai magistrati, poi ritrattata e riconfermata prima di togliersi la vita. “A Tersigni mio padre descrisse anche come era vestita Serena quel giorno. Con addosso quegli stessi indumenti venne ritrovata morta, e sul luogo intervenne proprio Tersigni”, sottolinea la figlia del brigadiere Tuzi, Maria, esclusa come parte civile dal processo. Il corpo di Serena fu rinvenuto il 3 giugno di 24 anni fa, nel boschetto di Fontecupa, con mani e piedi legati e un sacchetto di plastica in testa. Per l’omicidio della 18enne sono imputati Marco Mottola, il padre Franco, ex comandante dei carabinieri di Arce e la madre Annamaria. Vanno sottoposti a esame, la decisione della Corte. I giudici non si sono pronunciati, probabilmente lo faranno se necessario nel corso del processo, sulla questione della perizia sul buco nella porta dell’alloggio di servizio dei Mottola. L’arma del delitto – ha sempre sostenuto l’accusa – contro cui Marco Mottola avrebbe sbattuto la testa di Serena fino a farle perdere i sensi.






