La tensione sale davanti e dentro la sede del Consiglio nazionale delle ricerche a piazzale Aldo Moro, dove da questa mattina i lavoratori precari dell’ente hanno deciso di occupare l’edificio, trasformando quella che era iniziata come una protesta simbolica in un’azione di rottura destinata a lasciare il segno. Già da ieri sera l’ingresso del Cnr era diventato un piccolo villaggio improvvisato: tende, coperte termiche, cartelli scritti a mano, un megafono che rimbalzava slogan nel cortile e un viavai continuo di ricercatori, tecnici, borsisti. «Dormiremo qui finché sarà necessario», diceva all’alba una delle portavoce del coordinamento, mostrando il piazzale invaso da sacchi a pelo e thermos di caffè distribuiti durante la notte. Stamattina, dopo ore di assemblea permanente, la decisione: entrare nella sede centrale e restare all’interno. I manifestanti si sono radunati nell’atrio scandendo “Basta precariato”, “La ricerca è futuro”, “Stabilizzazione subito”. Il fronte della protesta è chiaro: “Non ce ne andiamo finché il governo non stanzierà le risorse necessarie alla stabilizzazione dei precari della ricerca”. Il riferimento è agli oltre duemila lavoratori tra assegnisti, co.co.co., contratti a tempo determinato e professionisti esterni che, da anni, garantiscono attività essenziali per il funzionamento dell’ente ma senza tutele strutturali né prospettive certe. Molti di loro hanno alle spalle dieci o quindici anni di servizio continuativo, pubblicazioni internazionali, progetti europei guidati o vinti, ma ancora nessuna stabilità contrattuale. All’interno dell’edificio l’atmosfera è tesa ma organizzata. Nell’ampio atrio del piano terra è stato allestito un punto informativo, mentre nelle sale laterali si susseguono assemblee spontanee, gruppi di lavoro e collegamenti in streaming con altri enti di ricerca che stanno manifestando solidarietà. I corridoi sono animati da decine di persone, alcuni con i camici bianchi, altri con computer portatili e zaini. Le forze dell’ordine presidiano l’esterno, ma il clima rimane pacifico. «Qui oggi ci sono biologi, fisici, ricercatori ambientali, matematici, ingegneri: tutti uniti dalla stessa condizione di incertezza», spiega un precario del dipartimento di Scienze Chimiche mentre distribuisce volantini ai colleghi che entrano e escono. Il tema della stabilizzazione nel mondo della ricerca pubblica non è nuovo. I sindacati parlano da tempo di una “struttura duale” in cui una parte del personale gode di contratti a tempo indeterminato, mentre un’enorme fetta di attività scientifica viene portata avanti da lavoratori privi di tutele. «A forza di tagli, proroghe e fondi straordinari mai strutturali, ci ritroviamo con un sistema che vive sulle spalle dei precari», denuncia un rappresentante sindacale presente al presidio. I lavoratori chiedono che la legge di bilancio preveda stanziamenti vincolati per avviare un piano di stabilizzazione. «Non ci basta l’ennesimo tavolo di confronto – ripetono in coro dal megafono – Servono cifre, atti concreti, tempi precisi. La ricerca non si regge sulle promesse». Mentre cala la sera su piazzale Aldo Moro, i manifestanti si preparano a passare la notte all’interno dell’edificio. Le tende fuori restano, come simbolo di una precarietà che non intendono più accettare. “Restiamo qui – dicono – perché il futuro della ricerca italiana non può più aspettare”.






