Sale nuovamente la tensione tra Israele e Iran. Secondo quanto riportato dal portale Axios, che cita tre diverse fonti israeliane e statunitensi a conoscenza dei fatti, il governo di Gerusalemme avrebbe ufficialmente allertato l’amministrazione Trump riguardo ad alcune manovre sospette condotte dal Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (i Pasdaran). Al centro dell’allarme ci sarebbe una recente esercitazione missilistica iraniana. Per i funzionari della sicurezza israeliana, non si tratterebbe di una semplice attività di addestramento di routine, bensì di una possibile fase preparatoria per un attacco diretto contro il territorio dello Stato ebraico. Le informazioni d’intelligence raccolte finora evidenzierebbero significativi movimenti di forze all’interno dell’Iran, segnali che l’IDF (Forze di Difesa Israeliane) sta monitorando con estrema attenzione. L’avvertimento giunge in un momento cruciale di transizione e consolidamento delle relazioni tra il governo di Benjamin Netanyahu e la nuova amministrazione di Donald Trump. La comunicazione diretta ai funzionari statunitensi serve non solo a coordinare la difesa aerea regionale, ma anche a sondare la disponibilità di Washington a sostenere eventuali risposte preventive qualora la minaccia iraniana dovesse farsi più concreta nelle prossime ore. Al momento, Teheran non ha rilasciato dichiarazioni ufficiali in merito alle esercitazioni, ma la regione resta in uno stato di allerta massima, nel timore che una nuova scintilla possa innescare un’escalation senza precedenti. Intanto nulla sembra poter frenare la strategia espansionistica del governo di Benjamin Netanyahu in Cisgiordania. Nonostante l’altolà espresso da Donald Trump lo scorso ottobre, i pressanti appelli dei governi europei — tra cui quello italiano — e il recente allarme delle Nazioni Unite sull’occupazione “incessante” di terre, il nucleo duro dell’esecutivo israeliano ha deciso di tirare dritto. Nelle ultime ore, il Gabinetto di sicurezza ha approvato l’istituzione di 19 nuovi insediamenti nella regione, portando a 69 il numero totale delle colonie autorizzate negli ultimi tre anni. La mossa è stata accolta con entusiasmo da Bezalel Smotrich, Ministro delle Finanze e figura di spicco dell’estrema destra. Smotrich ha sottolineato come il ritmo di allargamento delle colonie — considerate illegali dalla maggior parte della comunità internazionale in base al diritto internazionale — abbia raggiunto «livelli record». Secondo il Ministro, l’obiettivo dichiarato è duplice: permettere al popolo d’Israele di «tornare nella propria terra» e, soprattutto, «bloccare la creazione di uno Stato terrorista palestinese». Il nuovo piano, come riportato dalla testata Haaretz, prevede anche il ripristino di quattro insediamenti che erano stati evacuati nel 2005 nel quadro della cosiddetta “Legge di disimpegno”. “A vent’anni di distanza stiamo rimediando a una dolorosa ingiustizia”, ha commentato Smotrich, definendo l’iniziativa un atto di «sionismo semplice, corretto e morale». La decisione del governo israeliano giunge in un momento di estrema fragilità per l’intera regione. Sebbene tra Israele e Hamas sia formalmente in vigore una tregua da ottobre e siano in corso complessi negoziati per una de-escalation, la violenza sul campo non accenna a placarsi. A Gaza City, nella giornata di domenica, tre civili sono rimasti uccisi in seguito ad attacchi condotti con droni israeliani, mentre tre donne della stessa famiglia hanno perso la vita nel crollo di un’abitazione già gravemente danneggiata dai precedenti bombardamenti. Non meno critica è la situazione nel nord della Cisgiordania: sabato scorso, l’esercito israeliano (IDF) ha ucciso un sedicenne e un ventiduenne che avrebbero attaccato i soldati. Solo 24 ore dopo, nella medesima area, si sono verificati violenti scontri tra coloni e residenti palestinesi; l’intervento delle forze di sicurezza israeliane ha causato diversi feriti tra i locali e ha portato a numerosi arresti. Nonostante l’ONU abbia ribadito come questa espansione mini alle fondamenta la “fattibilità di uno Stato palestinese”, l’annuncio dei nuovi insediamenti è stato accolto, nelle ore immediatamente successive, da un sostanziale silenzio da parte dei principali attori internazionali. Una freddezza che riflette la difficoltà diplomatica di gestire un Gabinetto israeliano sempre più determinato a modificare irreversibilmente lo status quo territoriale della West Bank.
Iran, esercitazioni missilistiche sospette: l’allerta di Israele agli Stati Uniti






