domenica, Dicembre 28, 2025

Italia promossa dai mercati, ma la crescita frena: credibilità ai massimi, Pil dimezzato

L’Italia chiude l’anno con una doppia fotografia: da un lato la promozione dei mercati e delle agenzie di rating per la politica di bilancio responsabile e la stabilità del governo Meloni; dall’altro una crescita che rallenta bruscamente. Il Pil 2025 è stimato al +0,5%, più che dimezzato rispetto al +1,2% previsto appena un anno fa e in decelerazione anche rispetto al +0,7% del 2024. A pesare sono innanzitutto fattori esogeni. La doccia fredda dei dazi americani, il perdurare dei conflitti e l’incertezza geopolitica hanno alimentato la volatilità dei mercati finanziari, soffiando venti contrari alla ripresa. Ma incidono anche fattori endogeni: come rilevato dall’Ocse, lo stesso consolidamento dei conti pubblici ha smorzato la crescita, imbrigliando la spesa in deficit. Il contesto resta segnato dal maxi debito, che quest’anno supera il 136% del Pil anche per l’eredità del Superbonus, il cui onere continuerà a farsi sentire per diversi anni. Un fardello che ha reso ineludibile la stretta sui conti, scelta che però ha ripagato in termini di credibilità. Lo spread Btp-Bund è sceso ai minimi dal 2009, intorno ai 70 punti base, con risparmi significativi sulla spesa per interessi. La disciplina fiscale e l’anticipo al 2025 dell’obiettivo di deficit sotto il 3% — invece che al 2026 — hanno segnato una svolta nei giudizi degli investitori. Le promozioni delle agenzie di rating, come non si vedevano da decenni, ne sono la prova: Moody’s ha alzato il rating a Baa2 a fine novembre (era dal 2001 che non accadeva), Dbrs ha riportato l’Italia nella categoria “A” (A low) a ottobre e Fitch aveva già promosso il Paese a BBB+ a settembre. Un risultato cruciale per un’economia chiamata a rifinanziare un debito pubblico che in valori assoluti ha toccato un nuovo record storico: 3.131,7 miliardi di euro a ottobre, secondo Bankitalia, con un incremento di 50,7 miliardi in un solo mese. Sul fronte europeo, Roma incassa una vittoria politica: da sorvegliato speciale a modello di disciplina. Il deficit, indicato nel Documento programmatico di bilancio al 3%, è atteso scendere sotto la soglia, consentendo lo stop alla procedura Ue in primavera. Poi la discesa proseguirebbe al 2,8% nel 2026, al 2,6% nel 2027 e al 2,3% nel 2028. Il debito resta sotto controllo nonostante il peso del Superbonus: il rapporto debito/Pil è previsto al 136,2% nel 2025 e al 137,4% nel 2026, per poi avviare l’inversione di tendenza dal 2027 e scendere al 136,4% nel 2028. Resta il nodo crescita. Il rallentamento del 2025 è attribuito soprattutto alle tensioni commerciali innescate da Donald Trump e agli effetti dei conflitti in corso, fattori difficili da prevedere solo un anno fa. La sfida per l’Italia e per l’area euro sarà ripensare il modello di sviluppo, spostando gradualmente il motore dalla dipendenza dall’export ai consumi interni. Un compito reso più complesso da un’Europa a due velocità: la Germania, “grande malato” dell’Eurozona, archivia il 2025 con una crescita appena sopra lo zero (+0,2%); la Francia resta impantanata nella crisi politica, con il debito in accelerazione al 117,4% del Pil. Il graduale attenuarsi delle incertezze sui dazi dovrebbe favorire il commercio internazionale, mentre l’Italia punta a diversificare i mercati di sbocco, dall’America Latina agli Emirati fino all’Asia. Le prospettive migliorano nel medio termine: per il biennio 2026-2027 è prevista una crescita dello 0,7% annuo, che salirebbe allo 0,8% nel 2028, sostenuta da consumi e investimenti. A fare la differenza sarà anche l’effetto trascinamento del Pnrr. In questo quadro si inserisce la legge di Bilancio da 22 miliardi, segnata dal necessario consolidamento ma orientata a rafforzare il potenziale di crescita. Tra le misure chiave, il taglio della seconda aliquota Irpef dal 35% al 33% per il ceto medio, che interessa i redditi fino a 50mila euro, dopo la riduzione per i redditi più bassi varata lo scorso anno. Sul fronte produttivo, il pacchetto Imprese con il superammortamento triennale e i nuovi stanziamenti per Transizione 4.0 e Zes. E sul lavoro, l’aliquota ridotta al 5% sugli incrementi contrattuali per i redditi fino a 33mila euro, insieme ai rinnovi già effettuati nel 2024. Il bilancio di fine anno racconta dunque un Paese che ha riconquistato la fiducia dei mercati e dell’Europa, ma che paga il prezzo della prudenza in termini di crescita. La credibilità è tornata. Ora la scommessa è trasformarla in sviluppo duraturo.

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