venerdì, Aprile 26, 2024

Cinque anni fa moriva Marco Vannini

Il ricordo del sindaco di Cerveteri Pascucci

 

“Oggi (ieri, ndr) sono trascorsi cinque anni da quando mio figlio Marco è volato in cielo. Pensatelo e dedicategli una preghiera”. Questo l’invito di mamma Marina, rivolto a tutti coloro che vorranno ricordare suo figlio Marco Vannini nel quinto anniversario della morte, avvenuta il 18 maggio del 2015 per colpa di una mano assassina. La notte del 17 maggio 2015 Marco Vannini veniva ucciso a Ladispoli. Ieri, dunque, sono passati cinque anni esatti da quell’evento tragico, il cui cammino giudiziario riprenderà a luglio con l’appello bis dopo la sentenza della Cassazione con imputati i Ciontoli ossia Antonio, Federico, Martina e Maria Pezzillo. Il decesso avvenne alle 3.20 ovvero il 18 maggio con i fatti che si consumarono il 17. Di quella notte è stato sviscerato tanto, dai colpi di pistola che hanno ucciso Marco, le telefonate al 118 alla corsa al Pit che – come stabilito nei processi – è stata inutile al fine di salvare la vita al ventenne di Cerveteri. “Mentre andavo a realizzare la diretta ho incontrato Marina e Valerio, che abbraccio. Il loro è un diritto alla giustizia che deve essere garantito”. Il primo cittadino ha pure letto una lettera che il primo cittadino scrisse dopo la sentenza d’appello ai genitori del ventenne ucciso. E noi la riportiamo di seguito: “Asangue freddo – Uno sparo mi rimbomba nella testa. È un rumore sordo, insopportabile. In pochi istanti annienta ogni altro pensiero.
Riducendolo al silenzio. Sembra il rumore di una calibro nove. Una calibro nove che spara contro un ragazzo. Una calibro nove che spara a un giovane di vent’anni che non ha fatto niente, strappandogli la vita. Una calibro nove, che ha la potenza per bucare la carrozzeria di un’automobile. Non mi dà tregua. È qui. Lo sento ininterrottamente. Ma ascolto meglio e capisco che forse si tratta di altro. Forse è il rumore della sirena dell’ambulanza, quella della prima telefonata, chiamata e poi annullata. Forse è il rumore delle urla di Marco. Le urla di Marco sotto quella seconda telefonata al 118 mentre Antonio Ciontoli racconta all’operatrice che è stato solo un piccolo incidente. Con un pettine. Un pettine. Niente di preoccupante. E che Marco si è fatto prendere dal panico. Forse è il rumore della maglietta di Marco che cade. Quella maglietta che indossava quella sera mai ritrovata. Buttata via chissà dove. Forse è il rumore delle febbrili attività negli istanti dopo il colpo, quando ancora nell’aria c’era l’odore acre della polvere da sparo e qualcuno si dava da fare per cancellare le prove. Dopo quel colpo, spaventoso, che alcuni sostengono di non aver sentito. Forse è il rumore della voce di Antonio Ciontoli, mentre chiede al medico del pronto soccorso di falsificare il referto sulla ferita. Forse è il rumore di quel loro chiacchiericcio. La famiglia Ciontoli, registrata di nascosto, poche ore dopo la morte di Marco, che si mette d’accordo, prima degli interrogatori sulla versione da fornire alle forze dell’ordine. Forse è il rumore della voce del perito. Quando ci spiega che Marco si sarebbe potuto salvare. Marco si sarebbe salvato. Se avesse ricevuto assistenza nei tempi giusti. Forse è il rumore del fantasioso racconto di Antonio Ciontoli, il padre della fidanzata di Marco, che sostiene di essere entrato in bagno, mentre Marco è nella vasca, per mostrargli le pistole. Forse è il rumore delle parole del Giudice della Corte di Appello che una dopo l’altra cadono come pietre. Pronunciano una sentenza vergognosa di omicidio colposo con una condanna per l’assassino a soli cinque anni. Lo stesso Giudice che qualche istante dopo ha il coraggio di ammonire Marina, la mamma di Marco, per il suo sfogo in quell’aula. O forse quello che sento è il rumore della morte. È il rumore di un omicidio. Colposo però hanno detto i giudici. Commesso nella casa della fidanzata, là dove Marco doveva sentirsi protetto. Il rumore di un soccorso negato. Di racconti bugiardi. Di ogni parola che Marco non pronuncerà. Di una vita strappata che per qualcuno vale soltanto cinque anni. O forse non è neanche tutto questo. Mi fermo. E ascolto ancora. Quel suono che sento e che mi impedisce di pensare ad altro è l’urlo violento di mamma Marina e quel silenzio dolorosissimo di papà Valerio.
Uccisi entrambi il 29 gennaio dallo Stato italiano. È lo straziante rumore di questo nuovo omicidio. Di nuovo a sangue freddo. Che lascerà ancora una volta tutti impuniti”. In un post pubblicato ieri su Facebook, il sindaco ha aggiunto: “Quando avevo scritto questo testo, pochi giorni dopo la sentenza della Corte di Appello, non c’era ancora stato il pronunciamento della Corte di Cassazione. Oggi, in questo triste quinto anniversario dell’omicidio di Marco, c’è una luce di speranza che sia fatta giustizia e si ottenga verità. Fino ad allora sulle mura del nostro Municipio campeggerà la foto di Marco e la scritta “Verità e Giustizia”. Come Istituzione lo consideriamo un nostro dovere. E, per quel poco che possiamo fare, insieme alla nostra Comunità, continueremo a restare a fianco di mamma Marina e papà Valerio. Verità e Giustizia per Marco. Sempre”.

Redazione
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