sabato, Aprile 20, 2024

Il governo di Giorgia Meloni strappa il primo “tagliando” dei cento giorni

Cento giorni domani, lunedì 30 gennaio, da “maratoneta”, come lei stessa ha raccontato in una recente intervista al settimanale ‘Donna Moderna’ e in cui non nasconde le difficoltà, ma anche l’entusiasmo, del primo presidente del Consiglio donna e madre di una bambina di sei anni, a Palazzo Chigi. Giorgia Meloni compie un importante giro di boa, da tenace ‘underdog’ passata in 10 anni dal 2% dei consensi al 26% dei voti. Alla guida di un governo nato da una coalizione rodata, ma non per questo meno travagliata. La dice lunga la gestazione che ne ha portato alla nascita. La formazione del governo avviene infatti in tempi lampo, meno di un mese, ma non per questo appare meno difficoltosa. Il solito braccio di ferro tra le forze di maggioranza per la ripartizione delle ‘poltrone’ viene terremotato da un audio ‘rubato’ durante l’assemblea di Silvio Berlusconi con i gruppi di Forza Italia: la lettura e il racconto del leader azzurro della crisi internazionale – dal riavvicinamento a Vladimir Putin al giudizio sul presidente ucraino fino all’analisi sull’origine del conflitto tra Mosca e Kiev – minano la fase embrionale del governo, fino a metterne a rischio la stessa nascita. Meloni mantiene il sangue freddo e lancia l’aut aut: “Atlantisti o l’esecutivo non vedrà la luce”, mette in chiaro. Dunque sparisce dai radar, si rimette a lavoro pancia a terra, dopo meno di 24 ore sale al Colle con la lista dei  ministri messa nero su bianco, il giuramento avviene l’indomani. Il governo Meloni si mette al lavoro e nel primo Cdm utile, a fine ottobre, vara un decreto anti-rave che prevede confisca degli oggetti utilizzati durante l’occupazione, reclusione da 3 a 6 anni, multe da 1.000 a 10.000 euro. Il dl, fortemente contestato dalle opposizioni e poi rivisto incisivamente dal Parlamento, introduce anche novità sull’ergastolo ostativo, nonché lo stop all’obbligo vaccinale anti-Covid per medici e professioni sanitarie. Stretta sulla sicurezza, mano tesa a esercenti e autonomi, ‘allentamento’ della stretta anti-Covid sono i temi, i dossier, su cui Meloni marca maggiori distanze rispetto al predecessore, Mario Draghi. Sul fronte interno, naturalmente. Perché, a livello internazionale, benché la premier scelga non a caso Bruxelles per il suo primo viaggio all’estero -un chiaro messaggio di rassicurazione rivolto a chi tacciava il governo di anti-europeismo- la distanza dall’ex numero 1 della Bce emerge in tutta la sua evidenza nell’incidente diplomatico con la Francia di Emmanuel Macron. Al rientro a Roma sono due le sfide che attendono la premier: il voto sul decreto per tornare a inviare armi a Kiev -in piena continuità con la linea Draghi che Meloni ha sposato appieno anche quando sedeva sui banchi dell’opposizione- e la manovra da varare in tempi strettissimi. Anche qui, sulla tenuta dei conti, sul debito da tenere a bada, la presidente del Consiglio ricalca l’impostazione del suo predecessore, tanto da incassare il giudizio positivo di Bruxelles. Che frena, però, sulle misure bandiera, ovvero quelle norme identitarie e politiche che Meloni inserisce in legge di bilancio generando l’ira delle opposizioni: stop alle multe per gli esercenti che rifiutano pagamenti elettronici sotto i 60 euro, tetto al contante a 5mila euro, proroga di quota 103 sulle pensioni, flat tax. Sul pos, dossier che rientra nella trattativa con l’Europa sul Pnrr, il governo è costretto al passo indietro, pur ricorrendo a un plan B per risarcire gli esercenti delusi.
Redazione
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