venerdì, Aprile 19, 2024

Oggi il premier israeliano Netanyahu arriva a Roma per incontrare la premier Meloni

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e la moglie Sara sono a Roma. Per il premier israeliano è la terza visita all’estero da quando è tornato alla guida del governo a fine dicembre. Sotto la pressione delle ampie proteste in patria contro la riforma della giustizia e da una nuova escalation di tensione con i palestinesi, il leader del Likud si ferma in Italia fino a domani, sabato 11 marzo.  La visita prevede una fitta agenda di incontri. Netanyahu partecipa oggi a un Forum economico con le imprese italiane a Palazzo Piacentini, presente il ministro per Sviluppo economico e il Made in Italy, Adolfo Urso. Alle 13.30 sarà a Palazzo Chigi, per un pranzo ufficiale con la premier Giorgia Meloni, cui seguirà una conferenza stampa. L’ultima volta che Netanyahu è stato a Roma per una visita di Stato a Roma fu il giugno 2016, per incontrare l’allora premier Matteo Renzi.
Il nodo di Gerusalemme capitale
In ragione di una tradizione “forte e antica” fra Roma e Gerusalemme, “credo sia venuto il momento per Roma di riconoscere Gerusalemme come capitale ancestrale del popolo ebraico, da ben tremila anni. Come hanno fatto gli Stati Uniti con un gesto di grande amicizia”, ha detto Netanyahu in un’intervista a Repubblica, alla vigilia del suo arrivo.
La questione è molto controversa.
Le Nazioni Unite, sulla base del diritto internazionale, non hanno mai riconosciuto Gerusalemme come capitale di Israele. Il suo controllo sulla parte occidentale della città non è mai stato formalmente riconosciuto, mentre la parte orientale fu annessa con le armi nel 1967 – per cui vale il principio della inammissibilità di acquisizione di territori con l’uso della forza: secondo sentenze anche recenti della Corte internazionale di Giustizia va considerata “territorio occupato”. La quasi totalità dei Paesi del mondo mantiene quindi la propria ambasciata a Tel Aviv, almeno formalmente. Tuttavia, alcuni Paesi – in primis gli Stati Uniti guidati da Trump nel 2017 – hanno deciso di trasferire la rappresentanza diplomatica a Gerusalemme, come gesto politico di riconoscimento della sovranità israeliana sulla città. La posizione italiana si è finora allineata a quella delle Nazioni Unite e dell’Unione europea. L’unico a fare da sponda alla richiesta di Netanyahu è Matteo Salvini: “Dico convintamente sì a Gerusalemme capitale di Israele, nel nome della pace, della storia e della verità”, scrive il leader della Lega su Twitter. In una intervista pubblicata ad agosto prima della nomina a presidente del Consiglio, Giorgia Meloni è stata sul tema molto più cauta: nessuna intenzione di seguire gli Stati Uniti nel trasferimento dell’ambasciata da Tel Aviv: “E’ materia diplomatica e va valutata con il ministero degli Esteri”.
Le altre questioni sul tavolo
“Con l’Italia abbiamo relazioni molto solide ma vorrei vedere più collaborazione economica. E poi c’è il gas naturale: ne abbiamo molto e vorrei discutere di come farlo arrivare in Italia per sostenere la vostra crescita economica”, ha aggiunto Netanyahu. “Parleremo dell’Iran”, ha aggiunto: “dobbiamo impedire che raggiunga l’atomica”. Ma il premier israeliano è a Roma anche per premere sulla posizione internazionale dell’Italia: “Dal 2015 l’Italia ha votato all’Onu ben 89 volte contro di noi. È un fatto che stride con le ottime relazioni bilaterali”. Non si sottrae a un commento sulle proteste contro la riforma della giustizia che mira a mettere la Corte Suprema sotto il controllo del governo. Dice Netanyahu: “Queste proteste dimostrano quanto è solida la nostra democrazia”. Il movimento di protesta ha indetto per oggi “una giornata nazionale di resistenza alla dittatura” con iniziative simili a quelle che proseguono da nove settimane, con manifestazioni in tutto il Paese, blocchi stradali, scioperi e interruzioni dei servizi essenziali, inclusa la regolarità dei voli negli aeroporti. Anche il viaggio verso Roma del premier israeliano è stato ostacolato da blocchi stradali presso l’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv. Ma soprattutto, i primi due mesi e mezzo del sesto mandato di Netanyahu sono stati segnati da forti tensioni con i palestinesi: ripetuti attentati delle fazioni arabe, sanguinose operazioni delle forze armate israeliane in Cisgiordania, in particolare a Jenin e Nablus, scambi di razzi e bombe con Gaza, infine dieci giorni fa l’assalto di coloni ebraici alla cittadina palestinese di Huwara.

L’incontro con una comunità ebraica italiana divisa

La prima tappa italiana è stata al ghetto di Roma con il saluto alla comunità ebraica. Il premier israeliano accompagnato dalla moglie Sara è stato accolto al Tempio Spagnolo dalla presidente delle comunità ebraiche italiane Noemi Di Segni, dalla numero uno della comunità di Roma Ruth Dureghello, e dal rabbino capo della capitale Riccardo Di Segni. E ha voluto testare gli umori della diaspora sulle vicende interne: “Qui nella comunità di Roma siamo tutti fratelli. Proprio tenendo conto delle divergenze in Israele voglio ricordare che siamo un popolo unico. Voglio pregare tutti ad aiutarci a perseguire tutto ciò che abbiamo costruito”, ha detto Netanyahu prima che un funzionario gli annunciasse la notizia del nuovo attentato a Tel Aviv. Sempre da Roma Netanyahu ha risposto a distanza all’appello del presidente Isaac Herzog che auspica un’intesa con l’opposizione per modificare la contestata riforma della Giustizia che “così com’è deve scomparire”. Il premier si è limitato a dirsi favorevole a “tutte le iniziative” che possano portare a un accordo.  “Condivido il senso di profonda preoccupazione per la spaccatura che si sta formando in Israele”, ha detto Noemi Di Segni rivelando timori sulla percezione – anche internazionale – della democrazia israeliana. “Il riconoscimento di Israele come Paese democratico è un valore assoluto ma questo è possibile se la dialettica politica riflette i valori ebraici”, ha spiegato Di Segni. Che ha rincarato la dose sull’escalation di violenze nei Territori occupati: “Non può essere orgogliosamente ebraico il comportamento di chi incita all’odio e alla violenza verso il proprio vicino. Non si può essere orgogliosamente israeliani, né orgogliosamente ebrei, se in nome di una identità ebraica si offre come risposta al terrore e al lutto la violenza del singolo e la legittimazione ministeriale agli atti di vendetta”. Non è d’accordo l’ex presidente della comunità ebraica romana, Riccardo Pacifici, che ha urlato a Di Segni: “Vergogna! Non ci rappresenti”. Anche altri rappresentanti della comunità ebraica hanno contestato a Di Segni il contenuto del suo discorso e il fatto di non averlo concordato in precedenza.

Redazione
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