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CORI, “CONFESSIONI DI UNO SCRITTORE” OSPITA MARCELLO KALOWSKI CON “IL SILENZIO DI ABRAM. MIO PADRE DOPO AUSCHWITZ”

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Un’opera originale. Non è il classico testo sugli orrori del lager. È piuttosto uno scritto sulla vita. Quella di Abram Kalowski prima della guerra, del ghetto, di Auschwitz. Di un adolescente ebreo della Polonia degli anni Trenta. E poi di un giovane superstite che ha cercato di ricostruirsi un’esistenza in Italia. Il coraggio e la determinazione però non sono bastati ad allontanare per sempre i fantasmi di quell’orribile esperienza. È subentrata la depressione, il male oscuro che dilania l’anima. La storia di Abram è quella dei tanti che non riescono a raccontare la propria Shoah. Quell’immensa sofferenza, individuale e collettiva, viene soffocata in un silenzio assordante, che diventa la forma di comunicazione prevalente, e viene assorbita da chi gli sta accanto attraverso il non detto. Per i reduci spesso non esiste un ponte di collegamento tra il prima e il dopo Auschwitz. È toccato al figlio costruirlo per dare un senso all’accaduto e restituire dignità alla persona e alla sua intera vicenda umana e familiare. L’Olocausto raccontato dalla seconda generazione, è ugualmente importante per porre la Memoria al riparo dall’oblio e dal negazionismo ma, come spiega Marcello Kalowski, la memoria non va confusa con il ricordo – “la memoria non è comunicazione ma conoscenza, non è un semplice valore culturale, concettualizzazione, è narrazione. La memoria parte dal ricordo e mantiene in vita il passato, lo fa diventare parte della nostra coscienza; e attraverso la narrazione il ricordo, che è sempre di dolore, di sofferenza, diventa spunto, tensione verso il miglioramento, il progresso”.

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