sabato, Aprile 27, 2024

Caporalato a Tarquinia, 4 arresti e diverse perquisizioni

TARQUINIA – Da ben nove anni, circa settanta lavoratori metalmeccanici erano praticamente ridotti in schiavitù: sotto la costante minaccia del licenziamento e con il solo scopo di mantenere il posto di lavoro, infatti, gli operai erano costretti a subire misere retribuzioni e condizioni lavorative inaccettabili. Una pratica fortunatamente scoperta dai finanzieri della Compagnia di Tarquinia, che ieri mattina hanno dato esecuzione a cinque misure cautelari, di cui quattro arresti, sequestri preventivi per equivalente e 15 perquisizioni presso i domicili degli indagati e delle aziende ad essi riconducibili.
A finire in manette il 63enne Antonino Costa, nato a Palermo ma residente a Tarquinia e il figlio Pietro Emanuele di 32 anni: associati presso il carcere di Civitavecchia; Paola Piselli, tarquiniese di 54 anni e Talita Volpini, anche lei tarquiniese, di 34 anni, ristrette invece agli arresti domiciliari. Provvedimento cautelare dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, infine, per il consulente del lavoro, suggeritore delle manovre fraudolente, ragioniere Adriano Massella, tarquiniese di 39 anni, interdetto anche dall’esercizio dell’attività professionale.
Al centro di tutto, un’azienda metalmeccanica situata presso la zona artigianale di Tarquinia che produceva parti meccaniche per macchine da caffè e che operava nell’ambito di una sorta di ‘’holding familiare’’, ruotante attorno ai soggetti della stessa famiglia con ditte e società: la ‘’Lolly’’ srl, l’impresa individuale Costa Metal di Pietro Emanuele Costa e l’impresa individuale di Antonino Costa. Secondo l’accusa il sistema era stato costruito per consentire ai titolari di risparmiare sui costi dei lavoratori fino a ravvisare anche il reato di truffa ai danni dell’Inps. L’azienda riceveva in conto lavorazione parti meccaniche da assemblare per poi restituirle al committente e per fare questi lavori venivano impiegati operai residenti perlopiù a Tarquinia.
Le indagini, condotte dagli uomini delle fiamme gialle della Compagnia di Tarquinia hanno portato alla luce un vero e proprio «sistema perverso e spregiudicato di sfruttamento di operai impiegati in una nota azienda tarquiniese operante nel settore metalmeccanico». I fatti, ha spiegato il capitano Petti, «si caratterizzano per l’assoluto disprezzo della dignità dei lavoratori, costretti a tollerare un regime di vita insostenibile per garantire la propria sopravvivenza». Attraverso l’esecuzione di servizi di osservazione ed audizione di numerosi operai, l’esame di numerosissimi documenti contabili ed extracontabili, è stato accertato che «oltre una settantina di lavoratori sono stati costretti a svolgere attività lavorativa non prevista dal contratto di lavoro sottoscritto, percependo una misera retribuzione e subendo la lesione di diritti primari, quali il diritto alle ferie e alla malattia retribuita, al trattamento di fine rapporto ed alla tredicesima, il tutto sotto la costante minaccia, sovente esplicita e violenta, di ripercussioni o di licenziamento». In particolare, l’attività investigativa ha permesso di accertare che «gli operai – afferma il capitano Petti – sono stati costretti ad accettare, visto il proprio stato di bisogno e l’assoluta precarietà della propria situazione economica, una retribuzione oraria di molto inferiore a quella prevista dal contratto collettivo di lavoro per i metalmeccanici (circa 3,90 euro a fronte di un importo previsto non inferiore agli 8,28 euro), nonché ad effettuare ore di straordinario pagate in modo irrisorio (circa 2 euro a fronte delle previste 12,42 euro) o addirittura, in alcuni casi, senza retribuzione. A volte, infatti, i lavoratori erano obbligati ad effettuare un orario suppletivo gratis per riparare cattivi assemblaggi o per il mancato raggiungimento del numero minimo giornaliero dei pezzi previsti». Inoltre, fin dalla stipula del contratto di assunzione "part time", secondo l’accusa, «gli arrestati richiedevano ai dipendenti di sottoscrivere contratti che prevedevano attività lavorativa per sole quattro ore al giorno, a fronte delle effettive otto/dieci ore giornaliere pretese e li obbligavano a sottoscrivere, per avere maggior potere ricattatorio, lettere di licenziamento in bianco, rinvenute dai Finanzieri presso lo studio del consulente del lavoro a seguito di perquisizione». I lavoratori così erano continuamente minacciati di licenziamento, soprattutto quando si lamentavano dello sfruttamento di cui erano vittime e reclamavano il rispetto dei propri diritti. La condotta criminosa non è cessata neanche dopo l’avvio, nel mese di agosto 2016, dei controlli della Guardia di Finanza di Tarquinia. Anzi, «durante le investigazioni – continua il capitano Petti – diversi sono stati i tentativi di ostacolare le indagini e di influenzare i testimoni. Tra questi la gravissima condotta del sequestro di persona, posto in essere da alcuni arrestati che non hanno esitato a prelevare con l’inganno un’operaia ed a condurla presso una casa isolata nelle campagne tarquiniesi, privandola per un significativo arco temporale della libertà personale». Qui la donna, di Civitavecchia, sarebbe stata «pesantemente minacciata ed intimidita allo scopo di farla desistere dal presentarsi dinanzi ai finanzieri della Compagnia di Tarquinia, e fornire ulteriori informazioni utili alle indagini. Nella stessa occasione alla vittima è stato sottratto materiale probatorio di rilevante interesse investigativo che poi è stato rinvenuto e sequestrato nel corso delle perquisizioni disposte dai magistrati». Le indagini hanno consentito, inoltre, di accertare anche un’ingente truffa ai danni dell’Inps. Infatti ogni due o tre anni i lavoratori venivano licenziati da un soggetto economico e contestualmente assunti da un altro soggetto economico, appunto riconducibile e gestito dagli stessi arrestati, ciò al duplice fine di privare i dipendenti del trattamento di fine rapporto, visto che, sotto la minaccia della mancata riassunzione in capo alla nuova società, erano costretti a firmare liberatorie attestanti di aver ricevuto tutto quanto di loro spettanza e di non aver null’altro a pretendere.
La complessiva attività investigativa svolta ha consentito di quantificare il profitto dei reati perpetrati in 1.227.252,00 euro, di cui circa 140.000,00 euro ( corrispondente ai mancati versamenti dei contributi previdenziali ed assistenziali nonché ai fittizi licenziamenti/assunzioni), sono stati sottoposti a sequestro preventivo in virtù della nuova normativa in vigore.
L’intero complesso aziendale che ha sede presso la zona artigianale di Tarquinia, è stato affidato attualmente alla gestione di un amministratore giudiziario, nominato dal tribunale di Civitavecchia, a tutela delle posizioni lavorative, che attualmente risultano circa una quarantina.
Non si esprimono, al momento, gli avvocati difensori: Paolo Pirani, Pier Salvatore e Francesca Maruccio per gli arrestati e Valerio Lombardi per il ragioniere. Bisognerà quindi attendere la fissazione degli interrogatori di garanzia per avere un quadro più completo della situazione.
Di certo uno dei casi più clamorosi registratisi nella provincia di Viterbo e che ha gettato la comunità tarquiniese nello sconcerto.

Redazione
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