venerdì, Marzo 29, 2024

Tumori, quando si ammala una persona inizia il calvario per i suoi cari. I limiti della sanità italiana che spesso ‘lascia sole’ le famiglie

Se la ricerca fa progressi nella lotta ai tumori, c’è ancora molto da fare in concreto per semplificare la vita di chi è alle prese con questa battaglia. “Quando una donna si ammala, si ammala la famiglia. Troppo spesso inizia un’odissea, in segreto, in cerca del centro migliore o di una second opinion, i familiari si informano di nascosto o col passaparola. E questo non è giusto”. A dirlo è Marina Chiara Garassino, responsabile della Struttura semplice di oncologia medica toraco polmonare presso la Fondazione Irccs Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e presidente di Women for Oncology (Wfo), che lancia un appello alle istituzioni per “la presa in carico delle famiglie”, in vista dell’incontro ‘Donne che curano…la famiglia’, in programma il 17 giugno alla Sala della Regina di Montecitorio, a Roma. Un appuntamento organizzato da Women for Oncology Italy (Wfo), la rete nata fra le più note oncologhe italiane per dare alle colleghe una consapevolezza più forte del proprio valore professionale e del proprio ruolo, sia in corsia che nella ricerca, per poi trasmetterlo alla collettività tutta. “Favorire la crescita professionale delle donne è il nostro obiettivo, basti pensare che in Europa il 70% degli oncologi è donna, ma nelle posizioni apicali il dato è al di sotto del 10%. Quest’anno il nostro impegno, come associazione, è quello di accendere un faro sulla famiglia, che si ammala quando un paziente si ammala di tumore. E questo – racconta Garassino – comporta diversi aspetti: dal tipo di presa in carico, alla ricerca di una second opinion, ai viaggi della speranza. Ebbene, i pazienti e i loro famigliari hanno diritto ad un secondo parere: serve un’alleanza tra oncologi, medici di famiglia e istituzioni per dare una risposta concreta ai bisogni reali dei malati di tumore e a quelli dei loro parenti”. Nel tempo si è compresa l’importanza delle Reti di strutture specializzate “ma, ad esempio nel caso della Rete per i tumori rari creata nel 2017 – avverte Garassino – si tratta di una novità rimasta sulla carta. Tutte queste iniziative devono invece diventare progetti e strumenti concreti, per cambiare in meglio la vita di chi sta lottando contro il cancro. Serve un endorsement istituzionale, e soprattutto i progetti devono essere finanziati”. Una diagnosi di tumore arriva ancora come una bomba nella famiglia. “Come figlia di una mamma che si è ammalata di tumore quando avevo 9 anni – continua l’oncologa – posso capire quante sofferenze e quale impatto abbia la malattia sulla famiglia e sui bambini. Ancora oggi non c’è un supporto per aiutare i familiari a gestire il carico emotivo e psicologico. Ma se si creano percorsi protetti di presa in carico, questo diventa un aiuto concreto”. Nel corso della giornata alla Camera voluta dalle oncologhe italiane si esamineranno le ripercussioni che una diagnosi di tumore ha per i figli di un paziente, ma anche per i genitori, per il coniuge o sul lavoro. “Parleremo di migrazione sanitaria, legata anche alla poca conoscenza delle strutture che esistono vicino casa o a livello regionale. L’Istituto Tumori – racconta Garassino – ha creato una rete di 50 centri per il tumore del polmone, che sono adeguati dal punto di vita dell’assistenza ma non sono conosciuti a livello nazionale: un modo per poter indicare al paziente una struttura di riferimento vicina a casa”. Altro aspetto delicato, quello delle alterazioni genetiche. Ormai si sente parlare dei cosiddetti ‘geni Jolie’, ma cosa vuol dire seguire una famiglia ‘contagiata’ “dalla paura di ammalarsi? Si tratta di aspetti complessi, ed è importante interrogarsi su cosa è possibile fare in concreto per i pazienti”, con l’aiuto di associazioni, ma anche aziende e istituzioni.
Redazione
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