lunedì, Aprile 29, 2024

Governo, sulla riforma della Giustizia non c’è accordo tra Lega e M5S

E’ un ok ‘salvo intese’ quello raggiunto questa notte sulla riforma della giustizia,. Al termine diConsiglio dei ministri fiume e otto ore di scontro tra Lega e 5 Stelle è arrivata l’ntesa sul ddl, senza l’accordo sul penale. Riduzione dei tempi dei processi civile e penale a un massimo di sei anni tra primo grado, appello e Cassazione, soprattutto attraverso una stretta alla durata delle indagini preliminari, con sanzioni per i magistrati che non rispettano i tempi; interventi sull’ordinamento della magistratura e su composizione e sistema elettorale del Csm, meritocrazia per le nomine e regole più stringenti per il rientro in ruolo delle toghe che fanno politica. Sono alcune delle principali novità introdotte. Il ddl si compone di 48 articoli. Fuori dalla delega solo la parte relativa al Csm, per lasciare al Parlamento maggiore margine di discussione e intervento. Ecco cosa prevede il disegno di legge: Semplificazione delle procedure per “assicurare la semplicità, la concentrazione e l’effettività della tutela e la ragionevole durata del processo”, riduzione dei riti speciali e revisione dei criteri relativi agli strumenti di risoluzione alternative delle controversie, mediazione e negoziazione assistita, paletti per il ricorso in appello, trasmissione telematica e chiarezza degli atti. I primi articoli del ddl Bonafede riguardano il processo civile. La riforma prevede di “ridurre i casi in cui il tribunale giudica in composizione collegiale, in considerazione dell’oggettiva complessità giuridica e della rilevanza economico-sociale delle controversie” e sono stabiliti termini temporali stringenti per per la fissazione delle udienze. Quanto a mediazione e negoziazione assistita, per la prima si esclude l’obbligo di ricorso preventivo nei casi di colpa medica e sanitaria e di contratti finanziari, bancari e assicurativi; per la seconda è escluso il ricorso obbligatorio nei casi relativi alla circolazione stradale. Una stretta è introdotta sulla possibilità di ricorrere in appello ed è previsto l’obbligo che il deposito dei documenti e degli atti avvenga per via telematica e la notificazione degli stessi sia eseguita dall’avvocato a mezzo di posta elettronica certificata. Nuove regole anche per le richieste di archiviazione. E’ introdotto poi il “principio di chiarezza e sinteticità degli atti da parte del giudice” e la “strutturazione di campi necessari all’inserimento delle informazioni nei registri del processo per favorire un’agevole consultazione”. Il ddl interviene poi sullo scioglimento delle comunioni e sulle espropriazioni immobiliari.
La riduzione dei tempi del processo penale è il cuore del disegno di legge ed è legata, nelle intese politiche tra Movimento 5 Stelle e Lega, all’entrata in vigore, a gennaio del 2020, della riforma della prescrizione, con lo stop dopo la sentenza di primo grado, introdotta con la legge Spazzacorrotti. La stretta riguarda soprattutto le indagini preliminari: la durata va da un minimo di 6 mesi, per i reati per i quali è prevista la sola pena pecuniaria o la detenzione fino a tre anni, a 18 mesi per i reati più gravi, quelli indicati nell’articolo 407 del codice di procedura penale, mentre è di un anno per tutti gli altri casi. Il pubblico ministero può chiedere al giudice la proroga del termine una sola volta e per un tempo non superiore a sei mesi. Se il pm, entro questi termini, non ha notificato l’avviso di conclusione delle indagini o chiesto l’archiviazione, è obbligato alla ‘discovery’ degli atti, ossia al deposito della documentazione delle indagini svolte in modo che la persona indagata e il suo difensore possano prenderne visione. La violazione di queste prescrizioni, se dovuta a dolo o negligenza inescusabile, configura un illecito disciplinare.
E’ indicato poi che gli uffici del pubblico ministero, “per garantire l’efficace e uniforme esercizio dell’azione penale, selezionino le notizie di reato da trattare con precedenza rispetto alle altre sulla base di criteri di priorità trasparenti e predeterminati, indicati nei progetti organizzativi delle procure della Repubblica e redatti periodicamente dai dirigenti degli uffici” e che in questi criteri tenga conto della specifica realtà criminale e territoriale, delle risorse tecnologiche, umane e finanziarie disponibili”.
Questa parte del disegno di legge delega interviene sulla previsione di criteri rigorosamente meritocratici per le carriere dei magistrati e sullo stop alle cosiddette ‘porte girevoli’ nei passaggi tra magistratura e politica. 
Non è più consentito il rientro in ruolo dei magistrati che hanno avuto incarichi in Parlamento o al governo, di consigliere regionale o provinciale nelle province autonome di Trento e Bolzano, di presidente o assessore nelle Regioni o Province autonome o di sindaco in Comuni con più di centomila abitanti, che potranno essere ricollocati solo in ruoli amministrativi. Nel caso di magistrati in aspettativa per motivi elettorali che però non sono stati eletti è previsto il divieto a essere assegnati in uffici che rientrano nella circoscrizione elettorale nella quale si erano candidati o nel distretto nel quale esercitavano funzioni al momento della candidatura. Alla scadenza del mandato, il magistrato per 5 anni non può essere ricollocato in ruolo nello stesso distretto dove ha svolto l’incarico amministrativo e, in caso di ruoli apicali, come collaborazione presso la Presidenza dl Consiglio o i ministeri, per due anni non può fare domanda per accedere a ruoli apicali.
Cambiano le regole di accesso ai vertici degli uffici giudiziari: la riforma individua una serie di criteri, di merito e anzianità di servizio, per la scelta e prevede che le nomine siano effettuate attraverso il rispetto cronologico della vacanza dei posti e l’audizione dei candidati. I parametri riguardano la mole di lavoro svolta e le attitudini organizzative e per ciascuna valutazione, di merito, organizzazione e anzianità, sia stabilito un sistema di punteggio. la mancanza di anzianità diventa preclusiva per alcuni ruoli. Il ddl modifica anche la disciplina di accesso alla magistratura prevedendo che i programmi delle scuole di formazione contemplino le materie oggetto delle prove scritte del concorso e che sino ridotte le materie oggetto della prova orale.
Le modifiche alla composizione e al sistema elettorale del Csm sono state introdotte nel del dal ministro Bonafede a seguito dello scandalo che ha travolto il Consiglio per gli effetti dell’inchiesta di Perugia che ha scoperchiato una sorta di mercato delle nomine ai vertici delle principali procure italiane attraverso incontri, documentati dalle intercettazioni, tra magistrati ed esponenti politici. Un modo dunque, nelle intenzioni del guardasigilli, per sottrarre l’organo di governo autonomo della magistratura “dalle grinfie delle correnti” e non farlo diventare per i componenti togati una sorta di trampolino di lancio per fare carriera.
Il numero dei consiglieri viene portato a 30: 20 togati e 10 laici. Questo aumento è pensato in funzione di un’altra modifica introdotta, e cioè che i componenti della sezione disciplinare del Csm, il ‘tribunale’ che giudica i magistrati, non possano fare parte anche di altre commissioni consiliari. La questione più controversa e contestata delle norme riguarda le modifiche al sistema elettorale, con l’introduzione del sorteggio che, per quando parziale, ha subito suscitato la reazione di netta critica da parte dell’Associazione nazionale magistrati, che giudica il sorteggio, in qualsiasi forma, incostituzionale. Ed è proprio per evitare, nelle intenzioni del ministro qualsiasi rischio di non conformità alla Carta che il sorteggio, prima previsto in una fase successiva all’elezione, avviene in via preliminare e poi tra i magistrati sorteggiati interverrà comunque l’elezione non più con un unico collegio nazionale ma in 20 collegi.
Per quanto riguarda i laici eletti dal Parlamento, non devono avere ricoperto nei 5 anni precedenti incarichi in Parlamento o al governo, al Parlamento europeo, nelle regioni o Province autonome, o alla guida di Comuni co più di centomila abitanti. Dopo la fine della consiliatura, i consiglieri uscenti non possono presentare domanda per qualsiasi incarico direttivo o semidirettivo per 4 anni. Viene poi fissato un tetto ai compensi dei consiglieri.
Redazione
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