giovedì, Aprile 18, 2024

Cerveteri, eterna bellezza in cerca dell’identità perduta

Cerveteri, eterna bellezza

in cerca dell’identità perduta

 

di Riccardo Dionisi

 

Cerveteri è bellissima. Partiamo da questa inconfutabile certezza per sgombrare il campo da qualsiasi equivoco: la beltà non sfiorisce col tempo, ma guai a dare per scontato che gli altri riescano sempre a percepirla e a goderne. L’antica Kaisra o Caere, scegliete voi, è oggi una città in terapia intensiva, in uno stato comatoso forse apparente, ma non per questo meno preoccupante. Dal mare alla collina, passando per la Necropoli ed il centro storico lo stupore è sempre quello dei giorni andati. Il tempo scava rughe profonde, ma non cancella un fascino innato che affonda le sue radici nel XIV secolo A.C. Qui dove i Pelasgi fondarono una delle città più importanti della storia antica, oggi ‘sopravvive’ una cittadina di 40.000 residenti tutti seduti su un cumulo d’oro. Stanno belli comodi ad attendere chissà cosa, forse il passaggio di qualche carovana oppure qualche stregone pronto a scacciare via quella fantomatica maledizione di Tuculca, responsabile, a sentire alcuni vecchi cerveterani, delle disgrazie infinite della città. Ci vorrebbe un amuleto contro il malocchio, un quadrifoglio, una coccinella gigantesca per invertire una rotta che appare inesorabile e che sembra condurre Cerveteri nell’oblio. Saracinesche che si abbassano, come l’umore dei cittadini che rincorrono, senza mai acciuffarli, i reali motivi di tale stato soporifero irreversibile. Stolti coloro che immaginano una Cerveteri con l’appeal commerciale di qualche città limitrofa (facevo prima a scrivere Ladispoli). Non sono un cerveterano di nascita, ma sono profondamente legato alla mia città. Ne conosco abbastanza le virtù e forse meglio i difetti al punto da poter fare un’analisi scevra, forse, da preconcetti. Cerveteri è cresciuta anagraficamente a dismisura, ma senza una adeguata programmazione legata ai servizi al cittadino. Un po’ come un uomo che ingrassa in modo sensibile mettendo in seria difficoltà il proprio apparato cardio circolatorio. Lo so, mentre state leggendo, avete già il dito puntato verso il politico di turno o chissà quale predecessore. “Piove governo ladro”, tre parole e la coscienza è sollevata, candida. In realtà dare colpe solo all’amministratore di turno, spesso reo non confesso delle sciagure di una città, sarebbe non solo semplice, ma soprattutto superficiale. La città, che annaspa, è fatta da cittadini, da associazioni, dal tessuto sociale e se la politica è in difficoltà è abbastanza facile che tutto il sottostante non goda di salute migliore. Una città dove in pochi partecipano al consiglio comunale, dove in pochi prendono parte agli eventi, dove ci si limita a lamentarsi, senza rimboccarsi le maniche, è una città priva di un’anima. Vogliamo fare una semplice elencazione dei problemi che attanagliano Cerveteri? Non è un giochino asfittico e stantio? Non è troppo facile fare da scaricabarile tanto per fare il Ponzio Pilato del ventunesimo secolo? Converrete, cari lettori, che per arrestare questo senso di incompiuto ci voglia ben altro che ripulirsi la coscienza addossando solo colpe a chi governa. Ah sia ben chiaro: chi ha le redini del comando ha il dovere di assicurare ai cittadini, che pagano le tasse (al netto dello stato sanguisuga), una qualità della vita che sia, almeno, dignitosa. Se chiudete gli occhi vi vengono in mente solo i problemi della città? Vi si proietta davanti solo l’immagine di una piazza (come quella della foto) stupenda, ma priva di vita? Oppure riuscite ad immaginare anche la possibilità di invertire una tendenza o quantomeno di cercare di capire dove abbiamo sbagliato? Ecco, dove abbiamo sbagliato e non dove hanno sbagliato. Perché sentirsi comunità vuol dire far parte di un insieme di persone unite tra di loro da rapporti sociali, linguistici e morali, vincoli organizzativi, interessi e consuetudini COMUNI. Condividiamo la stessa bellezza che è quella di Cerveteri come quella del nostro ‘bel paese’. Allora andiamo in cerca di questa identità perduta, lasciamo che il malato terminale faccia come Lazzaro e si alzi e torni a camminare. Non è troppo tardi per tornare a vivere, a godersi il proprio territorio, ad immaginare una città migliore per noi e per chi la vivrà dopo di noi. Cerveteri è bellissima e ha bisogno di chi continui a credere nelle sue capacità e possibilità. Non è Ladispoli, non è Santa Marinella o Civitavecchia e nemmeno Fiumicino. E’ Cerveteri, con la sua luce e i suoi coni d’ombra, con i turisti (pochi) di passaggio e i proprio cittadini spaventati e rassegnati. E’ una comunità. Rimettiamola in cammino…

Redazione
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