Home Cerveteri Gli Ermellini chiamati a decidere sul destino della famiglia Ciontoli

Gli Ermellini chiamati a decidere sul destino della famiglia Ciontoli

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di Alberto Sava
Partito il conto alla rovescia per la data del 3 maggio, giorno in cui i giudici della Corte di Cassazione decideranno il futuro della famiglia Ciontoli, i quattro familiari accusati della morte del giovane ceretano Marco Vannini. Gli ermellini si riuniranno per decidere sulla sentenza di Appello Bis che ha condannato Antonio Ciontoli a 14 anni per omicidio volontario con dolo eventuale. Per i familiari (i figli, Federico e Martina, la moglie Maria Pezzillo) a 9 anni e 4 mesi. Nelle scorse settimane uno dei tre protagonisti di questa storia, Federico è più volte uscito sulla stampa per motivare la sua posizione nella vicenda.

L’avvocato Celestino Gnazi: “Sono sorpreso…”

L’avv. Celestino Gnazi con la mamma di Marco Vannini, Marina Conte
A sei anni esatti dalla morte di Marco Vannini arriva l’ultimo atto processuale. A maggio in Cassazione si riunirà la V Sezione. “Sono sorpreso dalla convocazione in tempo così rapidi”. Dichiara a terzobinario.it l’avvocato Celestino Gnazi, che rappresenta Marina e Valerio Vannini nelle vesti di parti civili nel processo per determinare le responsabilità per la morte di Marco Vannini. “In effetti credevo -riprende l’avvocato Gnazi- che gli ermellini potessero riunirsi dalla seconda metà di giugno in poi, invece è arrivata questa udienza”. Solo che rispetto al 7 febbraio 2020, quando venne emessa la prima sentenza al Palazzaccio, quando la tensione fu elevatissima, stavolta il clima è diverso: “Beh c’è maggiore serenità, non posso negarlo. Si arriva a quest’ultima decisione con alcune certezze che prima non avevamo”. Va detto che i giudici della V Sezione della Cassazione avrebbero più strade e possibilità di decisioni diverse, ma l’intero iter processuale indica un’unica strada possibile.

Quella maledetta notte del 17 maggio 2015

Marco Vannini, 20 anni fu raggiunto da un colpo di pistola nella casa della sua fidanzata, Martina, a Ladispoli la notte tra il 17 e il 18 maggio del 2015.I primi due dibattimenti si sono conclusi con esito contrastante, poi la Cassazione, annullando quello in cui era stata riconosciuta l’ipotesi più lieve con la riduzione di pena da 14 a 5 anni al principale imputato, Antonio Ciontoli, ha ordinato un nuovo giudizio e indicato a carico del sottufficiale della Marina Militare e dei suoi familiari una decina di indizi colpevolezza. La carte del processo raccontano… Alle 23 del 17 maggio 2015 Marco è a casa Ciontoli e si sta facendo una doccia: entra in bagno, dove sarebbe presente anche Martina, Antonio Ciontoli per prendere due pistole che aveva riposto in una scarpiera. Marco, racconta il principale imputato, si mostra interessato a queste e lui, per gioco, pensando che l’arma fosse scarica, fa esplodere un colpo, che ferisce Vannini a un braccio. Quaranta minuti dopo, la prima chiamata al 118: a parlare è Federico Ciontoli, figlio di Antonio e fratello di Martina. Dice all’operatore che un ragazzo ha avuto un mancamento per uno scherzo. La cornetta passa alla madre che chiude il telefono affermando che richiamerà in caso di bisogno. Poco dopo la mezzanotte – ore 00.06 – al 118 arriva un’altra telefonata: stavolta è Antonio Ciontoli, che riferisce di un ragazzo che si è infortunato nella vasca da bagno con la punta di un pettine. L’operatrice sente in sottofondo lamenti e urla di Vannini. L’ambulanza arriva a mezzanotte e 23 minuti: a mezzanotte e 54, Ciontoli al Pit (Posto di primo intervento) di Ladispoli parla di un colpo partito accidentalmente. Viene chiamato l’elisoccorso per trasportare Vannini al Policlinico Agostino Gemelli: ben due volte sarà costretto ad atterrare per l’aggravarsi delle condizioni del giovane. Poco dopo le 3 del mattino del 18 maggio, Marco Vannini muore. Nella ricostruzione delle fasi processuali dell’Agi, il 14 aprile del 2018 la corte d’assise di Roma condanna Antonio Ciontoli per omicidio volontario con dolo eventuale a 14 anni di reclusione e infligge 3 anni ciascuno a sua moglie e ai suoi due figli per omicidio colposo. Verdetto ridimensionato in appello, quando il 29 gennaio dello scorso anno anche Ciontoli viene ritenuto responsabile di omicidio colposo e condannato a 5 anni di carcere. Confermata la pena a 3 anni per i suoi familiari. Monta la rabbia della famiglia di Vannini che ricorre in Cassazione al pari della procura generale per sostenere la tesi dell’omicidio volontario con dolo eventuale. Il 7 febbraio 2020 la Cassazione annulla la sentenza d’appello e ordina un nuovo giudizio. Nel motivare la decisione i magistrati della Suprema Corte scrivono che la morte di Vannini “sopraggiunse” quale “conseguenza” sia delle “lesioni causate dal colpo di pistola” che della “mancanza di soccorsi che, certamente, se tempestivamente attivati, avrebbero scongiurato l’effetto infausto”. Non solo ma tutti gli imputati tennero “una condotta omissiva nel segmento successivo all’esplosione di un colpo di pistola, ascrivibile soltanto ad Antonio Ciontoli, che, dopo il ferimento colposo, rimase inerte, quindi disse il falso ostacolando i soccorsi”. Dopo il ferimento di Vannini, tutti i Ciontoli, a vario titolo, “presero parte alla gestione delle conseguenze dell’incidente: si informarono su quanto accaduto, recuperarono la pistola e provvidero a riporla in un luogo sicuro, rinvennero il bossolo, eliminarono le macchie di sangue con strofinacci e successivamente composero una prima volta il numero telefonico di chiamata dei soccorsi”. Nel processo d’appello bis il sostituto procuratore generale Vincenzo Saveriano ha chiesto di condannare a 14 anni di reclusione per omicidio volontario con dolo eventuale tutta la famiglia Ciontoli: Antonio, la moglie Maria Pezzillo e i due figli, Federico e Martina, in linea con le indicazioni della Cassazione. Nell’annullare la prima sentenza d’appello, infatti, i giudici della Suprema Corte avevano scritto che la morte di Vannini “sopraggiunse” quale “conseguenza” sia delle “lesioni causate dal colpo di pistola” che della “mancanza di soccorsi che, certamente, se tempestivamente attivati, avrebbero scongiurato l’effetto infausto”. Non solo, ma tutti gli imputati tennero “una condotta omissiva nel segmento successivo all’esplosione di un colpo di pistola, ascrivibile soltanto ad Antonio Ciontoli, che, dopo il ferimento colposo, rimase inerte, quindi disse il falso ostacolando i soccorsi”.

Menzogne, bugie e reticenze…

Concetti ripresi dal sostituto pg Saveriano, secondo cui questo processo è stato caratterizzato “da menzogne, bugie e reticenze messe in atto dalla famiglia Ciontoli e finalizzate a trovare una linea comune che potesse inquinare le prove. Obiettivo di tutti, a costo di assistere alla morte per dissanguamento di un ragazzo di 20 anni, era evitare che si corresse il rischio che Antonio Ciontoli perdesse il posto di lavoro”. “Tutti i Ciontoli – ha spiegato il pg – hanno avuto piena cognizione del fatto lesivo e devono poter rispondere di omicidio volontario con dolo eventuale, in concorso, perchè ritardando i soccorsi a un soggetto colpito da un colpo d’arma da fuoco, avrebbero dovuto prevedere che poteva succedere ciò che poi si è verificato (cioè l’evento morte)”. Di diverso avviso l’avvocato Andrea Miroli che ha chiesto che venisse ripristinata la condanna per Ciontoli senior a 5 anni di reclusione per omicidio colposo aggravato da colpa cosciente: “Ciontoli non voleva che Marco morisse. Non voleva che il fidanzato di sua figlia perdesse la vita. Se si fosse confrontato con l’evento morte non avrebbe agito così come poi ha fatto. Trovarsi in una situazione di rischio e cercare di gestirla non significa accettare l’evento morte. Adottare un comportamento sia pure biasimevole in una situazione di rischio, evidentemente mal governata, non significa che l’imputato ha voluto la morte di Marco. Antonio Ciontoli, così come i suoi familiari (da condannare al massimo per omissione di soccorso o in subordine per omicidio colposo o, infine, per favoreggiamento, ndr), era convinto che la lesione al braccio di Vannini provocata dal colpo d’arma da fuoco non fosse letale. Non c’è evidenza in questo processo che i Ciontoli fossero consapevoli della gravità della lesione riportata da Marco. E se non c’è consapevolezza significa che nessuno ha aderito all’evento morte”. La Corte d’Assise d’Appello ha condannato Antonio Ciontoli a 14 anni per omicidio volontario con dolo eventuale, e la famiglia a 9 anni e 4 mesi per concorso anomalo. Il 3 maggio 2021 gli ermellini della V Sezione metteranno la parola fine a questa vicenda iniziata in un villino a Ladispoli quella maledetta notte tra il 17 ed il 18 maggio di sei anni fa.

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