Approda lunedì davanti alla Corte d’appello di Perugia il processo legato al ‘caso’ Alma Shalabayeva, la moglie del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov, espulsa verso il Kazakhstan nel 2013 insieme alla figlia Alua. Al vaglio dei giudici di secondo grado la sentenza di primo grado che nell’ottobre del 2020 condannò, tra gli altri, Renato Cortese, che all’epoca dei fatti guidava la squadra mobile di Roma, e Maurizio Improta, al tempo capo dell’l’Ufficio immigrazione, a cinque anni di reclusione e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Condannati a due anni e mezzo l’allora giudice di pace Stefania Lavore, a cinque anni i funzionari della mobile romana Luca Armeni e Francesco Stampacchia e a quattro anni e tre anni e sei mesi quelli dell’Ufficio immigrazione Vincenzo Tramma e Stefano Leoni. In particolare per Cortese, Armeni, Stampacchia, Tramma, Leoni e Improta la condanna è per sequestro di persona. Gli imputati furono invece assolti da una decina dei capi d’accusa per falso ideologico, abuso e omissione d’atti d’ufficio.