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lunedì, Maggio 27, 2024

Studio dell’Università di Firenze: Il Covid può produrre effetti nel lungo periodo anche sui pazienti anziani meno vulnerabili

Il covid può produrre effetti nel lungo periodo anche sui pazienti anziani meno vulnerabili che, dopo l’infezione, non hanno bisogno del ricovero in ospedale per i sintomi della malattia. È il messaggio che proviene da uno studio epidemiologico, pubblicato sul “Journal of the American Medical Directors Association”, a cura di Università di Firenze, Azienda ospedaliero-universitaria Careggi, Azienda Usl Toscana Centro (Atc) e Istituto Superiore di Sanità. I ricercatori, diretti da Mauro Di Bari – docente di Medicina interna dell’Ateneo fiorentino e direttore della Scuola di specializzazione di Geriatria – hanno confrontato, nel periodo marzo-novembre 2020, prima dell’avvento del vaccino, i dati sulla mortalità a un anno di soggetti ultra 75enni con Covid o altre patologie distinguendo tra coloro che sono stati ricoverati (a Careggi o in altri ospedali dell’Atc) e quanti hanno fatto solo accesso al Pronto Soccorso senza poi essere ricoverati. I dati confermano che il Covid-19 aumenta il rischio di morte sia negli anziani ospedalizzati che in quelli non ospedalizzati; in entrambi i casi, la mortalità cresce con il grado di vulnerabilità, che è valutata grazie al Codice Argento Dinamico (Cad), classificazione in quattro livelli messa a punto dallo stesso gruppo di ricercatori. In particolare, secondo quanto rilevato dalla ricerca, nei non ospedalizzati l’eccesso di mortalità dovuto al Covid-19 è maggiore, in termini relativi, nei soggetti meno vulnerabili rispetto ai soggetti più vulnerabili. Infatti, negli anziani inseriti nella classe 1 Cad (meno vulnerabili) la mortalità è stata del 14,2% in presenza di Covid e del 2,9% in assenza della malattia, quasi 5 volte maggiore. Al contrario, negli anziani appartenenti alla fascia a maggior rischio (classe 4 di vulnerabilità Cad) la mortalità è stata del 46,7% in presenza del Covid e del 26% in sua assenza, quindi con un rapporto di 2:1. Inoltre, mentre nei soggetti ospedalizzati la percentuale di mortalità è più alta nel primo mese di trattamento della patologia e si stabilizza nei mesi successivi, nei soggetti non ospedalizzati il rischio resta rilevante per un periodo più prolungato. “Fin dall’inizio della pandemia, la mortalità associata al Covid-19 è risultata assai più elevata nei pazienti definiti fragili o, più appropriatamente, vulnerabili, ma gli studi fin qui condotti – spiega Di Bari, sottolineando la novità della ricerca – avevano preso in considerazione solo soggetti ricoverati, si erano limitati alla mortalità ospedaliera e non consentivano il confronto con pazienti senza Covid-19”. “Lo studio – commenta ancora Di Bari – suggerisce l’opportunità di una vigilanza maggiore e più protratta nei confronti di soggetti anziani meno vulnerabili colpiti dal Covid-19, per quanto le loro condizioni iniziali e i sintomi lievi non richiedano l’ospedalizzazione: il rischio di complicanze anche gravi e tardive non deve essere trascurato. Alla luce di questa analisi, condotta come si è detto nel periodo precedente alla comparsa del vaccino – conclude Di Bari -, possiamo affermare che è stato assolutamente opportuno estendere la vaccinazione a tutte le categorie di anziani indipendentemente dal grado di vulnerabilità, perché il vaccino è lo strumento principe della prevenzione degli effetti gravi del Covid-19”.
Redazione
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