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Caso Regeni: oggi nuova udienza dal Giudice dell’udienza preliminare di Roma

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Caso Regeni, oggi nuova udienza dal Giudice dell’udienza preliminare di Roma, e davanti al tribunale in piazzale Clodio, un sit-in convocato dalla rete “Giulio siamo noi”.
Continua il procedimento a carico dei quattro 007 egiziani, accusati di aver rapito, torturato e ucciso al Cairo, nel 2016, il ricercatore friulano. In aula sarà ascoltato Nicola Russo, direttore e capo dipartimento Affari di giustizia al ministero della giustizia, sull’attività svolta con le autorità egiziane. Un ulteriore step giudiziario, dopo molte vicende controverse, per le difficoltà di arrivare ad una fattiva collaborazione delle autorità egiziane con la giustizia italiana, per far partire il processo a carico dei quattro agenti del Cairo sotto accusa. Il procedimento sulle responsabilità penali, infatti, al momento è sospeso. La famiglia di Giulio Regeni – rappresentata oggi in tribunale, dall’avvocato Alessandra Ballerini – insiste sulla necessità di aver poter avviare il processo, secondo la legale gli imputati “si stanno volontariamente sottraendo al procedimento”. In aula, il capo dipartimento affari di giustizia del ministero, Nicola Russo, dovrebbe riferire sugli eventuali sviluppi alla nota inviata alle autorità egiziane, in seguito all’incontro del 15 marzo scorso. Il giudice per l’udienza preliminare aveva disposto nuove ricerche degli imputati – affidate al Carabinieri del Ros – ma fino a questo momento, le autorità egiziane non hanno offerto collaborazione agli investigatori italiani. Lo stesso Ministero della Giustizia riferì del netto rifiuto delle autorità del Cairo, a collaborare per le notifiche ai quattro indagati. Notifica indispensabile, per procedere con il giudizio. Il Caso Giulio Regeni, la scomparsa e
La cronaca dei processi
Il corpo dello studente di Fiumicello (Udine) Giulio Regeni, dell’Università di Cambridge, fu ritrovato il 3 febbraio del 2016, le sue tracce si erano perse il 25 gennaio: Giulio si trovava nella capitale egiziana per un periodo di ricerca e studio, presso l’Università americana. Stava concludento un dottorato di ricerca presso il Girton College ed in quel periodo svolgeva una ricerca, sui sindacati indipendenti egiziani. Il suo corpo senza vita – orrendamente mutilato – fu ritrovato in una scarpata, lungo l’autostrada che collega la capitale ad Alessandria, alla periferia del Cairo.
Sul corpo, le tracce della tortura
Sul cadavere del ricercatore, furono riscontrate contusioni e abrasioni, segni di tortura, fratture ossee: rotte tutte le dita delle mani e dei piedi, così come le gambe, le braccia e le scapole. La causa della morte fu attribuita ad una frattura ad una vertebra cervicale, l’autopsia rivelò anche un’emorragia cerebrale. Inizialmente, la polizia egiziana prospettò una serie di ipotesi, tutte rivelatesi infondate per mancanza di elementi di prova: prima un incidente stradale, poi motivi personali dovuti a una fantomatica relazione omosessuale, infine ambienti legati allo spaccio di stupefacenti. Dopo una prima e formale disponibilità a collaborare da parte delle autorità egiziane, gli investigatori italiani volati al Cairo per svolgere i primi interrogatori si trovarono di fronte ad un muro.
Il rinvio a giudizio
Il 10 dicembre del 2020 la procura di Roma chiuse le indagini preliminari, ed il 25 maggio del 2021 erano stati rinviati a giudizio quattro ufficiali del servizio segreto interno egiziano: il generale Tariq Sabir, i colonnelli Athar Kamel e Usham Helmi e il maggiore Magdi Sharif. Tra i reati contestati, sequestro di persona pluriaggravato, concorso in lesioni personali gravissime e omicidio. Nonostante il rinvio a giudizio, i quattro ufficiali risultano irreperibili. Caso Regeni, oggi nuova udienza dal Giudice dell’udienza preliminare di Roma, e davanti al tribunale in piazzale Clodio, un sit-in convocato dalla rete “Giulio siamo noi”. Continua il procedimento a carico dei quattro 007 egiziani, accusati di aver rapito, torturato e ucciso al Cairo, nel 2016, il ricercatore friulano. In aula sarà ascoltato Nicola Russo, direttore e capo dipartimento Affari di giustizia al ministero della giustizia, sull’attività svolta con le autorità egiziane. Un ulteriore step giudiziario, dopo molte vicende controverse, per le difficoltà di arrivare ad una fattiva collaborazione delle autorità egiziane con la giustizia italiana, per far partire il processo a carico dei quattro agenti del Cairo sotto accusa. Il procedimento sulle responsabilità penali, infatti, al momento è sospeso. La famiglia di Giulio Regeni – rappresentata oggi in tribunale, dall’avvocato Alessandra Ballerini – insiste sulla necessità di aver poter avviare il processo, secondo la legale gli imputati “si stanno volontariamente sottraendo al procedimento” . In aula, il capo dipartimento affari di giustizia del ministero, Nicola Russo, dovrebbe riferire sugli eventuali sviluppi alla nota inviata alle autorità egiziane, in seguito all’incontro del 15 marzo scorso. Il giudice per l’udienza preliminare aveva disposto nuove ricerche degli imputati – affidate al Carabinieri del Ros – ma fino a questo momento, le autorità egiziane non hanno offerto collaborazione agli investigatori italiani. Lo stesso Ministero della Giustizia riferì del netto rifiuto delle autorità del Cairo, a collaborare per le notifiche ai quattro indagati. Notifica indispensabile, per procedere con il giudizio.
Il Caso Giulio Regeni, la scomparsa e la cronaca dei processi

Il corpo dello studente di Fiumicello (Udine) Giulio Regeni, dell’Università di Cambridge, fu ritrovato il 3 febbraio del 2016, le sue tracce si erano perse il 25 gennaio: Giulio si trovava nella capitale egiziana per un periodo di ricerca e studio, presso l’Università americana. Stava concludento un dottorato di ricerca presso il Girton College ed in quel periodo svolgeva una ricerca, sui sindacati indipendenti egiziani. Il suo corpo senza vita – orrendamente mutilato – fu ritrovato in una scarpata, lungo l’autostrada che collega la capitale ad Alessandria, alla periferia del Cairo.

Sul corpo, le tracce della tortura

Sul cadavere del ricercatore, furono riscontrate contusioni e abrasioni, segni di tortura, fratture ossee: rotte tutte le dita delle mani e dei piedi, così come le gambe, le braccia e le scapole. La causa della morte fu attribuita ad una frattura ad una vertebra cervicale, l’autopsia rivelò anche un’emorragia cerebrale. Inizialmente, la polizia egiziana prospettò una serie di ipotesi, tutte rivelatesi infondate per mancanza di elementi di prova: prima un incidente stradale, poi motivi personali dovuti a una fantomatica relazione omosessuale, infine ambienti legati allo spaccio di stupefacenti. Dopo una prima e formale disponibilità a collaborare da parte delle autorità egiziane, gli investigatori italiani volati al Cairo per svolgere i primi interrogatori si trovarono di fronte ad un muro.

Il rinvio a giudizio

Il 10 dicembre del 2020 la procura di Roma chiuse le indagini preliminari, ed il 25 maggio del 2021 erano stati rinviati a giudizio quattro ufficiali del servizio segreto interno egiziano: il generale Tariq Sabir, i colonnelli Athar Kamel e Usham Helmi e il maggiore Magdi Sharif. Tra i reati contestati, sequestro di persona pluriaggravato, concorso in lesioni personali gravissime e omicidio. Nonostante il rinvio a giudizio, i quattro ufficiali risultano irreperibili.

Corte d’assise cancella il processo
Il processo però viene cancellato: dopo 7 ore di camera di consiglio, il 14 ottobre del 2021, i giudici della III corte d’Assise di Roma hanno deciso che il dibattimento non può avere inizio “perché non esiste la prova che i quattro agenti egiziani conoscano l’esistenza del processo a loro carico”.  Gli atti dell’inchiesta sono tornati dunque al giudice per l’udienza preliminare, che sta nuovamente tentando di notificare agli imputati il procedimento a loro carico, per poi essere in grado di rinviarli nuovamente a giudizio.

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