Non sembra invece avere cedimenti, almeno nelle intenzioni dei diretti interessati, il gender gap nell’accesso all’imprenditoria. Tra i maschi, infatti, la proporzione sale ulteriormente: oltre 1 su 5 è tentato da questo mondo. Mentre tra le ragazze ci si ferma al 15%, probabilmente perché queste ultime si sentono “frenate” dalle difficoltà che, più nel sentire comune che all’atto pratico, ancora oggi l’imprenditoria femminile registra nel nostro Paese.
Spesso non è solo un’idea campata per aria
Certo, per circa la metà degli aspiranti “capitani d’azienda” (46%) si tratta ancora di una intenzione non ancora suffragata da una visione concreta. Ma è comunque confortante constatare che oltre 1 su 2 ha già individuato un’idea, a proprio dire vincente, su cui lavorare: il 42% la vorrebbe sviluppare in piena autonomia – una percentuale che tra i maschi sale al 47% – mentre il 12% l’ha pensata come qualcosa su cui operare in team. È interessante notare anche come la mentalità da startupper si stia sviluppando già in età scolare, perché in qualche caso la squadra si è formata da tempo e già sta pianificando i prossimi step.
Ovviamente, i ragazzi sono consapevoli che non si diventa imprenditori dalla sera alla mattina. Specialmente l’iniziativa privata ha bisogno dei suoi tempi per essere “matura”. Una sorta di percorso a tappe che, gli stessi studenti, vorrebbero iniziare il prima possibile. Così, circa 1 su 6 – guarda caso la stessa proporzione di quanti aspirano a puntare su loro stessi – vorrebbero già oggi essere orientati o avere suggerimenti sul mercato del lavoro da chi li ha preceduti, manager di realtà pubbliche e private consolidate. E, parallelamente, credono che una formazione ad hoc possa fare la differenza: tra chi ha proseguito gli studi all’università dopo la Maturità, ben 1 su 5 cambierebbe idea se ci fosse un corso professionalizzante o un percorso di affiancamento che gli permetta di bruciare le tappe.
Proprio su quest’ultimo punto, rispetto a qualche decade fa, il nostro Paese è sicuramente più attrezzato a supportare i giovani imprenditori in erba ma privi di risorse economiche. Sono, ad esempio, sempre più diffusi sul territorio acceleratori e incubatori che, insieme a investitori pubblici o privati, accolgono le idee appena abbozzate e ne guidano la trasformazione verso imprese vere e proprie, all’interno di progetti di Open Innovation. Mettendole in condizione di camminare sulle proprie gambe o, in altri casi, a essere inglobate in grandi aziende alla ricerca di innovazione.
In tanti cercano di capire in anticipo cosa significa “lavorare”
Nel frattempo, in attesa di capire se effettivamente riusciranno a concretizzare le loro ambizioni, molti si sono portati avanti sulla tabella di marcia con largo anticipo. Facendo delle “prove tecniche” di lavoro quando erano ancora tra i banchi di scuola, per toccare con mano cosa significa mettersi all’opera: il 27% le ha concentrate nei periodi di stop delle lezioni (vacanze estive, sosta natalizia, ecc.), il 23% le ha svolte anche durante l’anno scolastico. E se nella stragrande maggioranza dei casi (84%) si è trattato dei classici “lavoretti” (cameriere, baby sitter, ripetizioni, ecc.), un po’ fine a sé stessi, per qualcuno sono stati davvero dei piccoli passi nel mondo che li potrebbe attendere al varco molto presto.
Il 16% dei lavoratori precoci – che isolando la componente maschile diventano il 24%, confermando la maggior propensione degli uomini verso approcci lavorativi meno tradizionali – ha sfruttato proprio le nuove tecnologie, al centro dei percorsi di Open Innovation a cui si accennato, applicandosi nei cosiddetti “mestieri digitali”. E, tra questi, oltre 1 su 3 vorrebbe che quell’attività si trasformi un domani nella propria occupazione principale.
C’è chi punta sui “lavoretti digitali”, anche in prospettiva futura
Quali sono i settori innovativi su cui i neo-diplomati hanno puntato maggiormente per incrementare il proprio reddito? Al primo posto troviamo l’e-commerce e, più in generale, la “vendita” di beni e servizi tramite siti web o social network (23%), a seguire si piazza l’influencer marketing e la creazione di contenuti sulle piattaforme digitali (21%), terzo posto per le operazioni fintech come il trading online o la compravendita di criptovalute (19%). Meno presidiati, invece, i campi dello sviluppo e gestione di App o servizi online, dei social media (sia lato contenuti che marketing), dell’informazione online (web editor, blogger, ecc.): sono tutti e tre appaiati al 10%. A chiudere la classifica, gli e-sports e il gaming professionale, da cui ha ricavato una fonte di reddito il 7% di coloro che si sono cimentati con i mestieri innovativi già alle scuole superiori.
Interessante, a tal proposito, osservare un’eloquente dinamica: sebbene a trainare questo nuovo filone siano soprattutto i giovani del Centro-Sud (sono il 21%, cinque punti percentuali più della media complessiva), nel Mezzogiorno sono in pochi quelli che ci intravedono delle reali prospettive (il 25%, a fronte di una media nazionale del 37%). A ribadire quella tendenziale sfiducia che affligge alcune aree d’Italia.