mercoledì, Maggio 8, 2024

Milano, Marco Cappato si è autodenunciato stamani dai carabinieri per il suicidio assistito di un 82enne

Il tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, Marco Cappato, si è autodenunciato stamani dai carabinieri della compagnia Duomo a Milano per aver accompagnato in Svizzera il signor Romano, 82enne residente a Peschiera Borromeo, affetto da una grave forma di Parkinson e non tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale, per il suicidio assistito.”E’ indegno per un Paese civile continuare a tollerare l’esilio della morte in clandestinità”, ha più volte detto il tesoriere dell’associazione Luca Coscioni. Cappato si è presentato con l’avvocato e segretaria dell’Associazione, Filomena Gallo nella stessa caserma in cui lo scorso agosto si è autodenunciato per aver accompagnato in Svizzera la signora Elena malata terminale di cancro e dove cinque anni fa si è presentato per il caso di dj Fabo, Fabiano Antoniani, un suicidio assistito che ha dato il  via alla discussione sul fine vita. Adesso, come ha sottolineato lui stesso, rischia fino a “12 anni di carcere”.  “Rispetto allo scorso agosto per l’aiuto fornito a Elena Altamira non ho tutt’oggi ricevuto alcuna comunicazione sull’eventuale o meno rinvio a giudizio da parte del Tribunale di Milano. Sono stato interrogato ma a oggi non c’è nessun atto o comunicazione nessuna decisione”, ha detto, prima di entrare nella caserma dei Carabinieri della compagnia Milano Duomo. La dichiarazione riguarda la vicenda che lo vede già indagato dalla Procura del capoluogo lombardo con l’ipotesi di aiuto al suicidio. La stessa accusa che rischia per il caso di Romano e per il quale si è denunciato. “Ho appena raccontato ai carabinieri  quello che è accaduto, qualcosa che potrei definire una trappola  micidiale che si stava stringendo attorno a Romano. Una trappola  micidiale che ci parla di una violenza di Stato che è l’effetto delle contraddizioni della legge italiana oggi”, ha detto Cappato all’uscita dalla caserma. “Romano era in una condizione di veloce decadimento, ma non era ancora dipendente dal trattamento di sostegno vitale. Da una parte non voleva sottoporsi a quell’intervento, dall’altra non poteva aspettare perché altrimenti sarebbe andato incontro a un rapidissimo decadimento delle  sue possibilità cognitive. Quindi la trappola nella quale stava per  cadere definitivamente era quella di acquisire il quarto criterio  della Corte Costituzionale e allo stesso tempo di perdere la capacità piena di intendere e di volere che è condizione indispensabile per ottenere l’aiuto alla morte volontaria. Questa è una condizione di oggettiva violenza dello Stato”. Romano, 82 anni di origini toscane e residente a Peschiera Borromeo (Milano), ex giornalista e pubblicitario, aveva “una forma di Parkinson molto aggressiva che gli aveva paralizzato completamente gli arti e che aveva prodotto una disfagia molto severa” che lo avrebbe portato “a breve a una alimentazione forzata”, racconta la moglie in un video messaggio registrato in Svizzera. Era costretto a letto, tra “forti dolori muscolari, in una condizione irreversibile che gli impediva di leggere, scrivere e fare qualsiasi cosa in autonomia”. Quando a luglio Romano, ha spiegato la donna, “ha espresso in maniera molto responsabile e consapevole il desiderio di interrompere questa lunga sofferenza, ci siamo rivolti per informazioni all’Associazione Luca Coscioni e abbiamo chiesto aiuto anche a Cappato. Tutto questo per evitare – ha detto – problemi legali visto che nel nostro Paese non esiste un quadro legislativo chiaro sulla scelta del fine vita che è un diritto fondamentale dell’uomo”. Aspetti legali di cui si farà carico ancora una volta Cappato che ha accettato la “richiesta di aiuto”. L’annuncio della morte dell’uomo è stato dato dalla figlia Francesca, arrivata a Zurigo dalla California, con un video in cui auspica che “in Italia, presto, sia possibile per le persone poter fare questa scelta a casa propria e morire a casa propria, circondate dalle persone care”. Romano non era tenuto “in vita da trattamenti di sostegno vitale”, così come la 69enne veneta Elena Altamira, malata terminale di cancro morta nella stessa clinica ad agosto. Situazioni che non rientrano nei casi previsti dalla sentenza di tre anni fa della Corte costituzionale per l’accesso al suicidio assistito. A seguito della battaglia di Cappato a fianco di Fabiano Antoniani e grazie alla sentenza 242 della Consulta che ne è scaturita, il suicidio assistito in Italia è legale quando il malato che ne fa richiesta è affetto da patologia irreversibile, fonte di intollerabili sofferenze fisiche o psicologiche, pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli. Ma deve essere anche tenuto in vita artificialmente. Tutte condizioni che deve verificare il Sistema sanitario nazionale. Rimangono quindi esclusi da queste possibilità numerosi malati. Le sue due ultime iniziative, spiega il tesoriere dell’Associazione Coscioni, hanno “l’obiettivo di superare le attuali discriminazioni tra persone malate e consentire il pieno rispetto della volontà anche delle persone affette da patologie irreversibili, fonte di sofferenza, pienamente capaci ma non ancora tenute in vita da trattamenti di sostegno vitale”.
Redazione
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