Il soprannome lo “spilungone”, per via dell’altezza. “Quell’Amico”, lo definisce in un’intercettazione ambientale il pregiudicato Enrico Bennato rassicurato proprio dalla fonte fidata sulla presenza delle guardie davanti casa sua. Una talpa in Questura, secondo la Procura di Roma. Un’inchiesta che è una costola di quella principale, relativa all’agguato mafioso del 7 agosto 2019 in cui fu ucciso Fabrizio Piscitelli. Un delitto per il quale è a processo l’argentino Raul Esteban Calderon.
Per i pm capitolini, dunque, ci sarebbe un poliziotto infedele. Ne aveva parlato in aula Rina Bussone, ex di Calderon e ora collaboratrice di giustizia. Nasce proprio dalle dichiarazioni della supertestimone, ritenuta però inattendibile dalla difesa, il fascicolo a carico dell’agente, indagato per favoreggiamento e rivelazione del segreto d’ufficio.
Secondo la Bussone, Bennato l’avvisò che la Polizia era sulle sue tracce e la stava per arrestare per la rapina commessa in una gioielleria sulla Casilina ad aprile del 2019. “C’era un video e quella notizia mi disse Leandro veniva da una persona della Squadra Mobile”, le parole della Bussone.
Lo stesso poliziotto, si legge nelle carte, avrebbe aiutato la Bussone a eludere le indagini a suo carico su un altro colpo messo a segno dalla donna in un centro commerciale a Tor Bella Monaca. L’agente le avrebbe riconsegnato delle scarpe verdi consigliandole di farle sparire perché prova schiacciante. E poi un comportamento che gli stessi colleghi, in aula, hanno definito inusuale. Il tentativo di parlare con Calderon mentre si trovava negli uffici di San Vitale prima di essere portato in carcere, nonostante il vice ispettore fosse estraneo a quell’indagine.
Nel corso della testimonianza sullo studio dei tabulati telefonici, è emerso che il 31 luglio 2019, il telefono di Calderon avrebbe agganciato per 20 minuti una delle celle di via Lemonia, la strada che costeggia il Parco degli Acquedotti, dove una settimana dopo verrà freddato il Diablo.
