Home Primo piano Cronaca Stragi ’93, Ilda Boccassini indagata a Firenze perché “non rivelò una fonte”

Stragi ’93, Ilda Boccassini indagata a Firenze perché “non rivelò una fonte”

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L’ex pm di Milano Ilda Boccassini, da cinque anni in pensione, è stata indagata dalla procura di Firenze per non aver rivelato una fonte ai pm Luca Turco e Luca Tescaroli, in un’inchiesta diventata parallela a quella sui mandanti delle stragi mafiose del 1993. I due pm fiorentini hanno notificato l’avviso di conclusione delle indagini pochi giorni fa. L’ex magistrato è indagato per “false informazioni” durante un interrogatorio nel dicembre 2021. In quell’occasione, sostengono da Firenze, la Boccassini avrebbe taciuto ai magistrati informazioni di cui sarebbe stata in possesso: non rivelò ciò che sapeva sulla fonte del giornalista Giuseppe D’Avanzo, un dettaglio riportato nel libro autobiografico dell’ex pm,  “La stanza numero 30”.  Boccassini, infatti, venne convocata a Firenze per un chiarimento su uno scoop giornalistico sulle dichiarazioni del collaboratore di giustizia, Salvatore Cancemi, su Silvio Berlusconi circa alcuni flussi di denaro. In procura erano presenti anche i magistrati di Caltanissetta. L’ex magistrato, nel suo libro, non cita la fonte, anche se sembra da lei conosciuta, e non lo ha fatto neanche davanti ai magistrati, che adesso le hanno recapitato un avviso di conclusione indagini. Nel volume Boccassini scrisse di aver saputo dal giornalista di La Repubblica,  D’Avanzo, a pochi giorni dalla morte, quale fosse la “gola profonda” delle notizie che lo stesso aveva pubblicato in un articolo a sua firma uscito nel 1994, in cui si riportavano le rivelazioni del pentito di mafia Salvatore Cancemi. A seguito della lettura, i pm di Firenze che indagano sulle stragi di mafia, hanno convocato Boccassini per chiederle quel  nome ma l’ex procuratore aggiunto di Milano si sarebbe rifiutata di dirlo.  I magistrati diu Firenze hanno dovuto procedere con l’accusa di violazione dell’articolo 371 bis del codice penale. In base a questo, “chiunque, nel corso di un procedimento penale, richiesto dal pm di fornire informazioni ai fini delle indagini, rende dichiarazioni false ovvero tace, in tutto o in parte, ciò che sa intorno ai fatti sui quali viene sentito, è punito con la reclusione fino a quattro anni”.

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