Nessun appiglio, nessuna scappatoia giuridica: la Corte di Cassazione ha definitivamente messo la parola fine al contenzioso tra un avvocato e il Comune di Ardea, respingendo in toto il ricorso presentato dal legale, che chiedeva il pagamento di compensi professionali per un incarico svolto anni fa in favore dell’ente. Nel dettaglio, la Suprema Corte ha giudicato “inammissibile per difetto di specificità” la parte del ricorso relativa a una querela di falso, sottolineando che la questione non era mai stata trattata nel giudizio d’appello, e dunque non poteva essere introdotta solo in Cassazione. Non è andata meglio per gli altri motivi del ricorso, che sono stati anch’essi dichiarati “inammissibili” in quanto riguardanti il merito della controversia. Infine, la contestazione sulla legittimità costituzionale di una norma processuale è stata liquidata in poche righe dalla Corte: “palesemente priva di rilevanza”. A completare il quadro, la Cassazione ha condannato il ricorrente anche al pagamento delle spese processuali, compreso il contributo unificato. La somma che l’avvocato dovrà versare ammonta a 3.000 euro in favore del Comune di Ardea, oltre a un 15% di spese forfettarie e altri costi accessori. Con questa decisione, la Corte Suprema – ultimo grado di giudizio e non appellabile – chiude definitivamente la vicenda giudiziaria, sancendo la piena regolarità dell’operato dell’amministrazione comunale e sottolineando, ancora una volta, il principio di inammissibilità per chi tenta di introdurre nuovi elementi solo in extremis.






