È un viaggio dentro la periferia più complessa e contesa della Capitale, quella del sesto municipio, dove clan di etnia rom, gruppi mafiosi italiani e bande albanesi si spartiscono da anni traffici, potere e paura. Quartieri come Tor Bella Monaca, Borghesiana, Torre Angela e Ponte di Nona vivono sotto la pressione di un’economia parallela fatta di droga, estorsioni e occupazioni abusive, mentre lo Stato prova a riprendere terreno con operazioni, controlli e piani di rigenerazione urbana. Le storie che arrivano da qui raccontano una quotidianità segnata da piazze di spaccio attive 24 ore su 24, case popolari trasformate in fortini e interi nuclei familiari legati ai clan che esercitano un controllo silenzioso ma capillare. I militari del Gico e i carabinieri del Nucleo investigativo parlano di un “territorio frammentato ma saldamente gestito”, dove ogni scala, ogni cortile, ogni via ha un suo referente.
A Tor Bella Monaca, la torre di via dell’Archeologia resta il simbolo di questa doppia realtà: da un lato le famiglie oneste, esasperate dal degrado, dall’altro i pusher che gestiscono la cocaina come in un supermercato, con vedette e turni precisi. Nonostante gli interventi dello Stato — gli ultimi, con i blitz “Alba Bianca” e “Grande Muraglia”, che hanno portato a decine di arresti — il mercato dello stupefacente continua a rigenerarsi. “Cambiano i nomi, ma il sistema resta – confida un investigatore –. Dietro i romani oggi ci sono soldati albanesi e intermediari campani che gestiscono i flussi di droga provenienti dal Nord Europa”. Ma non è solo droga. Le occupazioni abusive sono diventate una delle nuove frontiere del potere criminale. A Torre Angela e Finocchio decine di appartamenti Ater sono finiti nelle mani di famiglie rom legate ai clan, che li assegnano “a piacere”, chiedendo denaro o favori in cambio. Gli inquilini legittimi, spesso anziani, vengono intimiditi, costretti a lasciare casa o convivere con minacce quotidiane.
Il Comune, insieme alla Prefettura e alla Procura di Roma, ha avviato da mesi una mappatura dettagliata delle occupazioni, con l’obiettivo di sgomberare gli immobili e restituirli agli aventi diritto. Ma la strada è lunga. “È una battaglia culturale prima che giudiziaria – spiegano fonti del Campidoglio – perché lo Stato deve tornare ad essere visibile, credibile e presente in ogni palazzo”.
Negli ultimi mesi le forze dell’ordine hanno moltiplicato i controlli: arresti per spaccio, sequestri di beni e presidi mobili nei punti caldi, ma la risposta non è solo repressiva. Accanto ai reparti speciali, lavorano educatori, associazioni e centri antiviolenza, che cercano di dare alternative concrete ai giovani.
Il prefetto di Roma, Lamberto Giannini, ha più volte ribadito la necessità di un “piano straordinario per la legalità”, coordinato tra Ministero, Regione e Comune, mentre la procura antimafia capitolina continua a monitorare le infiltrazioni delle mafie campane e calabresi, sempre più interessate al riciclaggio nei cantieri e nei locali commerciali della zona. In mezzo, i cittadini, che chiedono solo normalità. “Siamo stanchi di vivere tra pattuglie e spacciatori – racconta un residente di via Amico Aspertini –. Qui serve lavoro, luce e presenza dello Stato, non solo quando ci sono le telecamere.”
Un equilibrio fragile, quello del sesto municipio, dove ogni giorno lo Stato combatte una guerra silenziosa ma continua per riprendersi strade e dignità. Una battaglia fatta di arresti e sgomberi, ma anche di scuole, presidi sociali e fiducia. Perché, come ripetono gli abitanti più coraggiosi, “solo quando la legalità sarà quotidiana, non eccezione, potremo dire che Roma ha vinto la sua battaglia”.
Roma, viaggio nel sesto municipio: tra droga, racket e occupazioni abusive, lo Stato sfida i clan




                                    

