La contribuente aveva contestato la classificazione urbanistica del terreno, ritenendo errato o addirittura falso il certificato di destinazione urbanistica del 2012, che indicava il lotto come zona B7 – completamento residenziale, ossia edificabile. Secondo altre versioni ufficiali del Comune, invece, il terreno non sarebbe stato edificabile, circostanza confermata da certificati precedenti e successivi al 2012. La Corte di Cassazione ha rigettato definitivamente il ricorso, spiegando che le questioni sollevate riguardavano valutazioni di merito e non errori di diritto, e quindi non potevano essere riesaminate in sede di legittimità. Oltre al pagamento delle imposte, la contribuente dovrà inoltre sostenere le spese processuali, pari a circa 4.300 euro. Un esito che ha lasciato un senso di amarezza e che fa emergere un paradosso fiscale: vendere un terreno dichiarato edificabile può comportare obblighi tributari ben superiori al prezzo effettivamente ricevuto, anche quando documenti successivi sembrano contraddire la classificazione originaria. La vicenda è destinata a restare come uno dei casi più emblematici di conflitto tra norme fiscali e realtà urbanistiche sul territorio di Ardea.






