venerdì, Marzo 29, 2024

I martiri italiani della Foibe e l’esodo degli istriani e dalmati

Speciale- Cerveteri celebra la Giornata del Ricordo con due eventi: alle 11 al Parco della Rimembranza ed alle 16 30 in Sala Ruspoli

 

 di Alberto Sava

Domani, in occasione della Giornata del Ricordo, istituita con la legge 30 marzo 2004 n. 92, per conservare, rinnovare e non dimenticare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo degli istriani, dei fiumani e dei dalmati italiani dalle loro terre durante la seconda guerra mondiale e nell’immediato secondo dopoguerra (1943-1945), e della vicenda del confine orientale. La ‘giornata del ricordo’ si apre a Cerveteri alla 11.00 al Parco della Rimembranza con la cerimonia organizzata da Fratelli d’Italia LiberaMente Cerveteri. Gli attivisti locali del partito, guidato dalla leader nazionale Giorgia Meloni, invitano i cittadini a partecipare numerosi muniti di bandiere tricolori. Per l’appuntamento pomeridiano alle 16.30 al centro dell’evento, promosso dall’Amministrazione, è il giorno in cui, nel 1947, furono firmati i trattati di pace di Parigi, che assegnavano alla Jugoslavia l’Istria, il Quarnaro e la maggior parte della Venezia Giulia, in precedenza facenti parte dell’Italia. A dibattere di uno dei periodi più bui della storia della seconda guerra mondiale, il professor Settimio La Porta, che terrà una conferenza focalizzandosi sugli aspetti più nascosti e meno noti delle vittime istriane, fiumane e dalmate. A seguire, un concerto per pianoforte ad ingresso gratuito. La Voce contribuisce alla giornata del ricordo con lo speciale che segue a cura del concittadino Guido Rossi.

 A pochi giorni di distanza dal giorno della memoria, si torna a parlare e a ricordare nuovamente degli orrori del nostro passato. La Repubblica Italiana sancisce e riconosce il 10 Febbraio giorno del ricordo al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia vissuta da migliaia di italiani e delle moltissime vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani e dalmati nel secondo dopoguerra. La tragedia delle foibe venne riconosciuta a livello istituzionale solo nel 2004 e, ad oggi, a prescindere da qualsiasi polemica e scontro ideologico, deve essere ricordata con la medesima importanza che viene attribuita alla Giornata della Memoria finché, anche questa pagina nera della storia contemporanea, per anni latente, non si perda nell’oblio della leggerezza umana. La parola “foiba” deriva dal latino “fovea” che letteralmente significa “fossa”. Sono definite “foibe” le cavità naturali formatesi nel lento trascorrere dei millenni. Sul Carso goriziano, triestino e istriano, ce ne sono a migliaia. Nell’autunno del 1943 in tutta l’Istria e dal 1° maggio al 12 giugno del 1945 a Trieste, Gorizia e Fiume, sono state utilizzate dalle milizie slavo comuniste del maresciallo Josip Broz, detto “Tito”, per fare sparire, da morti, ma anche da vivi, gli oppositori di quel regime e delle mire annessionistiche del dittatore jugoslavo. Va ricordato altresì, per amore di verità, che non tutte le vittime designate furono infoibate, ma per brevità si suole annoverare come “infoibati” anche i fucilati, gli annegati, o i tanti lasciati morire di stenti e malattie nei campi di concentramento jugoslavi. La logica del terrore messa in atto dal regime di Tito ebbe un ruolo determinante nell’indurre centinaia di migliaia di cittadini italiani ad abbandonare le proprie case ed a scegliere la strada dell’esodo. In questo senso è innegabile che un ruolo determinante per le finalità annessionistiche di Tito venne svolto dalle foibe. Le più note sono quella di Basovizza e quella detta di Monrupino Entrambe sono “Monumento Nazionale”, rispettivamente dal 1992 e dal 1993 e oggi luogo di pellegrinaggio per quegli Italiani che hanno avuto familiari deportati e fatti sparire.

 Frammenti di Storia

Maggio-Giugno 1945…

 Bisogna riandare all’aprile del 1945, agli ultimi giorni della seconda guerra mondiale. Il 28 di aprile Mussolini è passato per le armi a Dongo. Il giorno 29 il Generale Heinrich Vietinghoff, comandante delle truppe tedesche operanti in Italia, firma a Caserta la resa incondizionata. Il 30 aprile Hitler muore, suicida, nel suo bunker berlinese. A Trieste, il grosso delle truppe naziste ha evacuato la città. Il giorno 30 (aprile 1945) insorgono i Partigiani. Essi agiscono articolati in due distinte formazioni: in periferia e sul Carso operano quelli di fede comunista che fanno causa comune con i partigiani slavi; nel centro urbano si battono i “Volontari della Libertà”, braccio armato del Comitato di Liberazione Nazionale di Trieste. Questi ultimi, attaccano le retroguardie tedesche costringendole a ritirarsi. A sera riescono a esporre il Tricolore sul balcone del municipio e sul palazzo della Prefettura. Le truppe anglo-americane sono ormai vicine, ma quelle che giungono per prime a Trieste, il 1° maggio 1945, sono quelle del maresciallo Tito. I nostri patrioti, fiduciosi, vanno incontro a quelli che ritenevano fratelli “Liberatori” venuti dall’est, ma vengono accolti malissimo: il loro ruolo è misconosciuto. Sono costretti a deporre le armi e ad astenersi dal mostrare i simboli nazionali. Nonostante il loro palese antifascismo verranno perseguitati anch’essi, tacciati di essere “nemici del popolo”. “Liberatori” si rivelano così “Conquistatori”. Proclamano lo stato di guerra. Decretano la mobilitazione generale. Impongono il coprifuoco dalle ore 15.00 alle ore 10.00 del giorno successivo. Vietano la libera circolazione degli automezzi, gli assembramenti, le manifestazioni d’italianità, l’uso del Tricolore (a meno che non porti al centro la stella rossa). Proibiscono l’uscita dei giornali, fatta eccezione per “L’ Avvenire”, quotidiano comunista filo slavo. Procedono a indiscriminati arresti e deportazioni, specie nelle ore notturne. Rivolgono ai malcapitati l’accusa di “fascista” o ancor più frequentemente quella di “nemico del popolo”. Eseguono i loro mandati di cattura sulla scorta di liste precompilate, ma anche d’iniziativa. Gli anglo americani giungono in città il 2 di maggio, con 24 ore di ritardo. Gli alleati hanno vita dura. Gli Slavi ne ostacolano l’ingresso in città e non cedono loro alcun potere, relegandoli al ruolo di ospiti non graditi e muti spettatori. I Titini proseguono così la loro azione di snazionalizzazione del territorio e di imposizione delle loro volontà. ll 5 di maggio, in via Imbriani, aprono il fuoco contro un gruppo di dimostranti invocanti “Italia”, riunitisi attorno a un Tricolore coraggiosamente agitato al vento da un giovane. Nel giro di poco più di 48 ore, la città è passata dal torchio della nazista “Gestapo” a quello, non meno oppressivo, cruento e abietto, della comunista “Ozna”. La “Risiera di San Sabba”, vergognosa struttura di tortura e di morte gestita dai nazisti dal 9 settembre 1943 al 29 aprile 1945, sembra aver passato le sue nefande consegne alle “Foibe”, Finalmente gli alleati reagiscono. Resisi conto che i metodi del maresciallo Tito stanno ricalcando quelli dei dittatori contro cui erano scesi in guerra, preso lo spunto dalla necessità di disporre del porto di Trieste per le loro esigenze belliche, ordinano perentoriamente alle milizie jugoslave di allontanarsi dalla città e di portarsi al di là di un certo allineamento. Tito, dopo alcune resistenze, naufragato il tentativo di ottenere l’appoggio sovietico, impressionato dal massiccio dispiegamento di forze angloamericane, sottoscrive a Belgrado il 9 di giugno un accordo con gli alleati, accettando di arretrare le proprie truppe. Così, finalmente, il 12 giugno del 1945 l’Armata partigiana jugoslava abbandona la presa. I suoi reparti, prima di partire, vuotano le casse della Banca d’Italia prelevando 160.000.000 di Lire di allora. Trieste esce da un incubo: finalmente anch’essa, alla pari delle altre città italiane, potrà riversarsi sulle strade e gioire per la ritrovata Pace. Per il ricongiungimento alla madrepatria dovrà aspettare ancora altri nove anni e versare altro sangue.

Nel 1991 il Presidente

Francesco Cossiga…

 Il 3 novembre 1991 Francesco Cossiga vi si è recato in visita ufficiale, si è inginocchiato davanti alla fossa comune e ha sostato in quella posizione per un minuto in silenzioso raccoglimento. Poi, in altro luogo, ha detto: “Io ho chiesto perdono agli Italiani dimenticati dalla nostra classe politica, infoibati dai comunisti titini che avevano occupato le nostre Terre”. L’11 febbraio 1993 è stata la volta di Oscar Luigi Scalfaro. Anche lui non ha pronunciato alcun discorso, ma poi ha detto: “Non facciamo mai il delitto di distinguere morti da morti, sofferenze da sofferenze”. Carlo Azeglio Ciampi ha visitato la Foiba il 24 febbraio 2000. Come i suoi predecessori si è astenuto da interventi ma, dopo, in altra sede così dirà: “Il futuro è nella pace europea; deve cadere ogni sentimento di rancore e di odio. Dobbiamo onorare insieme tutti i nostri morti, dobbiamo pensare insieme al futuro dei nostri popoli”. Inequivocabile, chiaro e preciso il discorso del Presidente Giorgio Napolitano sul tema delle Foibe pronunciato al Quirinale il 10 febbraio 2007 in occasione della consegna dei diplomi e delle medaglie ai parenti degli infoibati: nell’autunno del 1943 si intrecciarono, in quelle terre, giustizialismo, sommario e tumultuoso; parossismo nazionalista; rivalse sociali e un disegno di sradicamento della presenza italiana da quella che era e cessò di essere la Venezia Giulia. Vi fu dunque un moto di odio e un disegno annessionistico slavo che prevalse innanzitutto nel trattato di Pace del 10 febbraio 1947 e che assunse i sinistri contorni di una pulizia etnica”.

 

 

Sessant’anni di colpevole

e impenetrabile silenzio…

 

I motivi del colpevole lungo silenzio che ha accompagnato questa vergognosa pagina di storia sono molteplici. Sulla questione del confine orientale, il Partito Comunista Italiano aveva assunto posizioni …ancora oggi inconfessabili! Palmiro Togliatti infatti, all’epoca capo indiscusso di quel partito, aveva condiviso il programma di TITO, capo dei partigiani comunisti della Jugoslavia d’allora. Egli era il più convinto assertore di quella ideologia. Considerava l’espansione territoriale di quello Stato sul nostro suolo nazionale “come un fatto di cui rallegrarci”. Aveva ordinato alle formazioni partigiane giuliane di porsi sotto comando jugoslavo (e tutti sappiamo cosa è successo il 7 febbraio 1945, alle Malghe di Porzus, in provincia di Udine, ai Patrioti della Brigata Osoppo chiamati “fazzoletti verdi” proprio per distinguerli dai “fazzoletti rossi”! Essi furono proditoriamente trucidati perché fedeli alla Patria Italiana). Aveva invitato iscritti e simpatizzanti del suo partito a “collaborare nel modo più stretto” con le milizie titine. A lungo il suo partito, il Partito Comunista Italiano, ha negato la barbarie delle foibe, bollandola come falsità avanzata per gettare discredito sulla “Resistenza” e sulle “gloriose” formazioni partigiane del maresciallo Tito. Tesi venuta a cadere davanti alle centinaia di riesumazioni di resti umani dalle voragini carsiche dell’Istria e delle province di Trieste e Gorizia, e davanti a inoppugnabili testimonianze sempre più copiose e raccapriccianti. Poi, la sua parte politica ha sostenuto che gli infoibati fossero criminali fascisti: ma anche qui la bugia è naufragata di fronte a prove cristalline, come la scomparsa nel nulla delle 97 Guardie di Finanza della Legione di Trieste, arrestate ed eliminate a guerra finita. E come la studentessa universitaria Norma Cossetto istriana, rea di essersi rifiutata, per il suo sconfinato amore per l’Italia, di unirsi ai partigiani di Tito. Ella fu barbaramente seviziata, prima di essere gettata in foiba, forse ancora viva, (settembre 1943). Dunque gli infoibati avevano un unico torto: essere Italiani, non disposti ad accettare sul suolo patrio la sovranità della Repubblica Federativa Socialista Jugoslava.

Redazione
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