sabato, Aprile 20, 2024

Pena di morte, la soddisfazione di Amnesty International: nel 2018 esecuzioni diminuite di un terzo

Il 2018 ha registrato il più basso numero di esecuzioni in almeno un decennio, con una diminuzione di quasi un terzo rispetto all’anno precedente. E’ quanto si evince dal rapporto sulla pena di morte redatto da Amnesty International, che prende in esame le esecuzioni in tutto il mondo con l’eccezione della Cina, dove si ritiene siano state migliaia ma il dato rimane un segreto di Stato. Dopo la modifica alla legislazione contro la droga, in Iran, dove comunque l’uso della pena di morte resta elevato, le esecuzioni sono diminuite di uno sbalorditivo 50%. Una significativa riduzione delle esecuzioni è stata registrata anche in Iraq, Pakistan e Somalia. Di conseguenza, il numero delle esecuzioni verificate a livello globale è calato da almeno 993 nel 2017 ad almeno 690 nel 2018. “La drastica diminuzione delle esecuzioni dimostra che persino gli stati più riluttanti stanno iniziando a cambiare idea e a rendersi conto che la pena di morte non è la risposta – ha dichiarato Kumi Naidoo, segretario generale di Amnesty International – Nonostante passi indietro da parte di alcuni stati, il numero delle esecuzioni portate a termine da parecchi dei più accaniti utilizzatori della pena di morte è significativamente diminuito. Si tratta di un’auspicabile indizio che sarà solo questione di tempo e poi questa crudele punizione sarà consegnata alla storia, dove deve appartenere”. Le esecuzioni sono aumentate in Bielorussia, Giappone, Singapore, Sud Sudan e Usa. La Thailandia ha eseguito la prima condanna a morte dal 2009 mentre il presidente dello Sri Lanka ha annunciato la ripresa delle esecuzioni dopo oltre 40 anni, pubblicando un bando per l’assunzione dei boia. “Le notizie positive del 2018 sono state rovinate da un piccolo numero di stati che è vergognosamente determinato ad andare controcorrente – ha sottolineato Naidoo – Giappone, Singapore e Sud Sudan hanno fatto registrare un livello di esecuzioni che non si vedeva da anni e la Thailandia ha ripreso a eseguire condanne a morte dopo quasi un decennio. Ma questi stati ora costituiscono una minoranza in calo. A tutti gli stati che ancora ricorrono alla pena di morte, lancio la sfida: siate coraggiosi e poniate fine a questa abominevole sanzione”. Noura Hussein è una giovane sudanese condannata a morte nel maggio 2018 per aver ucciso l’uomo che era stata costretta a sposare mentre cercava di stuprarla. Dopo uno scandalo mondiale, grazie anche alla campagna di Amnesty International, la condanna è stata commutata in cinque anni di carcere. “Fu uno shock assoluto quando il giudice mi disse che ero stata condannata a morte. Non avevo fatto nulla per meritare di morire. Non potevo credere a che livello d’ingiustizia fossimo arrivati, soprattutto contro le donne. Non avevo mai pensato di poter essere messa a morte fino a quel momento. La prima cosa cui pensai fu ‘Cosa provano le persone quando vengono messe a morte? Cosa fanno?’. La mia vicenda era decisamente drammatica in quel momento, la mia famiglia mi aveva ripudiato. Affrontavo quello shock completamente da sola”, ha raccontato Noura Hussein ad Amnesty International.
Redazione
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