sabato, Aprile 27, 2024

Cerveteri, la festa di sant’Antonio Abate

Lunedì diciassette gennaio. Il sole, affacciatosi di lato al Granarone, saettava pavidi raggi sulla Boccetta zeppa di animali,barrozze,calessi, fumanti lambrette e moto, mucchi di gente e ragazzini. Labbra screpolate, geloni ai diti, calzettoni e guanti di lana, cappelli con copri orecchie che facevano rissomiglià i ragazzini a segugi, scarponi chiodati che scivolavano sui sampietrini umidi. Balle di fieno, come improvvisati recinti, a contenere vacche, pecore ed inquieti maremmani in attesa della benedizione. I cavalieri in groppa a cavalline nervose ed impazienti col mocciolo alle sbuffanti froge, annusando di già il fremito del passaggio per via dei Bastioni tra l’eccitazione dei compaesani. Sant’Antonio il lottatore, il Prometeo con a fianco il roseo maialino con campanella al collo, era festeggiato dai cervetrani da antica data: la chiesetta gli era stata dedicata in un lontano giorno del primo quarto del secolo diciottesimo. A memoria documentabile, e non a chiacchiere, la festa del Santo che si rintana nel deserto abbandonando il mondo reso viscido ed immondoa causa della ricerca forsennata della ricchezza e del potere con conseguente corruzione e ipocrisia, la festa dell’eremita sant’Antonio Abate, si rincorre per le antiche e strette vie di sampietrini da circa tre secoli. Certamente, dopo la festa dell’ottomaggio, quella dedicata a san Michele Arcangelo che con la nebbia e lo spadone allontanò i predatori sbarcati alla marina, la ricorrenza del diciassette di gennaio fa battere a mille l’animo della Comunità. Non è inventata quindi, non è una sagra , ma tradizione avita, storica , partecipata . Mai come in questo caso l’uso del termine Festa popolare ci sta tutto. Il Maresciallo Saporito in grande uniforme, lasciato il suo fedele lupo alsaziano in mezzo ad una canizza dalle infinite razze che scompostamente cercavano un capo branco, stava affacciato, assieme al brigadiere ed a don Luigi,circondato da tre quattro chirichetti, dal muretto a mattoncini rossi della chiesetta antica. Il laterizio a spina di pesce, inverdito dal vellutello, ostentava l’usura degli anni,mentre le pietre di templi molto più antichi, incastrate a sostegno di nuove case, o a difesa degli spigoli, sapevano di senso materno. Accarezzarle confortava e riscaldava l’anima. Poi, come se storce il collo al pollo, la lunga e confusionaria fila di omini e bestie si mosse dal largo della Boccetta verso piazzetta Verdi, e da lì nello stretto budello che porta alla benedizione. Come al canapo di Siena le discussioni, le occhiatacce, le sculate di quarti d’animale, i dispetti si sprecavano. Solamente la presenza severa delle guardie Giovanni, Giggetto e Menicuccio, veterani dell’ordine pubblico, li costringeva ad abbozzare. Struscianti chiodi e zoccoli sui sampietrini coperti da lingue di ghiaccio, ossequiano al santo, mentre don Luigi li spruzza, ripetendo incomprensibile e sempre più biascicata frase in latino. Tutti, cani, vacche e cavalli, greggi e cavalieri accennano ad inchino. Campanelli e fiocchetti colorati si muovono al ritmo dei quadrupedi. La canizza, guidata da un orgoglioso lupo alsaziano sembra non avere fine. Poi, inaspettati, con andatura da mal di mare, vecchi e pelosi dromedari del circo Elmer, infiocchettati in amaranto, allungano il collo tra la folla, sospinti da un infreddolito fustigatore in giacchetta rossa dai bottoni e martingala dorati. Il circo, in quel freddo inverno del cinquantasei, aveva preferito fare una lunga sosta in paese, in attesa che “sbrinasse”. Da anni piazzavano le due carovane in legno, sedie, trapezi e reti ed uno sdrucito tendone, di fronte alla cabina, tanto da essere considerati de casa. Le compartecipazioni dei cervetrani agli spettacoli circensi, dall’uomo forzuto alla voce narrante di incredibili bugie e barzellette erano oramai una costante, tanto da riuscire difficile distinguere lo spettatore dall’attore. Chiusero la sfilata i ragazzini con in braccio abbacchietti, cagnolini,mici ed infreddolite tortore, galletti e piccioni sballottati nelle gabbie. Si muovono, si intruppano, si spingono, accennano a correre, ma sotto al Santo ritrovano un ordine da “Piave mormorò” pel quattro novembre al Monumento.

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