sabato, Maggio 25, 2024

‘Ndrangheta romana con l’inchiesta “Propaggine”

“Noi siamo qua, guardate quanto siamo belli qua. Noi abbiamo una propaggine di là sotto”. Parlava così Antonio Carzo, senza sapere di essere intercettato durante l’indagine della della Dda di Roma battezzata proprio “Propaggine”. L’inchiesta ha ricostruito nei dettagli il modo di operare, i giri d’affari, la struttura gerarchica della prima ‘ndrina romana. Un nucleo che – dopo anni di una presenza gestita dai vertici calabresi – riproduceva in tutto il modello della casa madre per muoversi autonomamente sul territorio di Roma. Una “locale” di ‘Ndrangheta nata nel 2015, su autorizzazione dei vertici, che ha operato come uno stato parallelo, con propri strumenti di “risoluzione delle controversie”, con proprie “procedure esecutive” e con una consistente disponibilità di armi. Così si legge nelle motivazioni pubblicate della sentenza con cui – lo scorso settembre – sono stati condannati 17 imputati al termine del rito abbreviato. Per otto di questi le pene sono state tra i 10 e i 20 anni. Secondo i magistrati capitolini a capo della struttura criminale, che operava da alcuni anni a Roma dopo avere ottenuto il via libera della casa madre in Calabria, c’era una diarchia composta da Antonio Carzo e Vicenzo Alvaro. I due, arrestati nell’operazione del maggio scorso, appartengono a storiche famiglie di ‘ndrangheta originarie di Casoleto, centro in provincia di Reggio Calabria. Il capoclan, che nelle intercettazioni viene definito come “il Papa” da uno degli affiliati, descrive la struttura del gruppo criminale: “siamo assai pure qua… volta e gira siamo qualche 100 di noi altri anche in questa zona del Lazio”. Il boss invita però alla calma alla luce delle notizie su una indagini della Procura di Roma. “Dobbiamo stare più quieti… Pignatone, Cortese, Prestipino sono tutti quelli che combattevano dentro i paese nostri – afferma nell’intercettazione – Cosoletto, Sinopoli. Tutta la famiglia nostra…maledetti”.  Ad Antonio Carzo una delle condanne più pesanti, a 20 anni. 16 anni e 8 mesi al figlio Domenico e 15 anni e 7 mesi all’altro figlio, Vincenzo. Condannato a 12 anni Francesco Calò. Mentre l’altro capo, Vincenzo Alvaro, sarà giudicato con rito ordinario

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